Basta vedere il trailer per rendersi conto che Spotlight non è il nome del caso trattato ma quello del team investigativo del Boston Globe che lo ha seguito. Siamo dalle parti di Tutti gli uomini del presidente, un tema scottante, una verità fastidiosa che fatica ad emergere, ma che quando arriva sulla prima pagina cambia la realtà delle cose.
A dire il vero non siamo arrivati ancora alla fine della storia perché riguarda la chiesa cattolica e, come si dice anche nel film, quella è una istituzione abituata a ragionare in termini di secoli. Qui ci si concentra su una serie di fatti avvenuti all'inizio del secolo, e si accenna solo molto rapidamente a cosa è successo nel decennio successivo. Chissà quanti altri decenni serviranno per arrivare ad un punto fermo più soddisfacente.
La scintilla che fa scoccare la storia sta nell'arrivo al Boston Globe di un nuovo responsabile, Marty Baron (Liev Schreiber), che ha il solito compito, tagliare le spese, aumentare la tiratura. La sua idea che ci interessa in questo contesto è quella di spingere Spotlight a lavorare su di tema piuttosto spinoso che non sembra piacere a nessuno, ovvero il caso di un prete molestatore seriale che è sempre riuscito a evitare problemi con la giustizia. E si tenga presente che a Boston, e in tutto il Massachusetts, il cattolicesimo è molto forte.
A capo di Spotlight c'è Walter Robinson (Michael Keaton), che accetta l'incarico del suo capo ma non sembra troppo entusiasta, al contrario di Mike Rezendes (Mark Ruffalo), che ci si butta a capofitto. Sacha Pfeiffer (Rachel McAdams) è presente per ragioni di verosimiglianza storica, anche se non aggiunge molto alla narrazione. Tra i molti personaggi che entreranno nel racconto ricordo Mitchell Garabedian (Stanley Tucci), l'avvocato che, in pratica, ha fornito il materiale necessario all'indagine.
La sceneggiatura e regia di Tom McCarthy (*) riescono ad evitare i tranelli di un manicheismo che finirebbe per risultare stucchevole. Se le colpe principali sono ascrivibili alla chiesa cattolica, nessuno può chiamarsi fuori dalla tragedia a cuor leggero. In un certo senso, sarebbe una buona cosa vedere il film in accoppiata con Philomena, anch'esso un film in cui si evita un bianco e nero disneyano per riflettere invece sulle sfumature.
(*) Ha debuttato una dozzina di anni fa con The station agent, a cui sono seguite altre cose buone come L'ospite inatteso e Mosse vincenti. Forse questa volta ci siamo, e diventa un nome noto.
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