La signora di Shanghai

Che qualcosa sia andato storto lo si intuisce subito, dai titoli di testa in cui si legge che Orson Wells interpreta il ruolo del protagonista, ha curato la sceneggiatura e la produzione ma non la regia, di cui nulla si dice. Ci vuole poco ad immaginare cosa sia successo. Wells deve aver presentato la sua pizza alla Columbia, e questi si devono essere messi le mani nei capelli. A proposito, la protagonista è Rita Hayworth, nota per i suoi lunghi capelli rossi (anche se non originali), che qui appare in un inedito taglio corto e biondo. Lo studio avrà allora messo mano alla pellicola, cercando di "salvare" il salvabile. Unica possibile difesa di Wells, togliere la firma.

C'è da dire che la colpa non doveva essere stata tutta del perfido studio. Andandosi a rintracciare il racconto originale (If I die before I wake di Sherwood King) si trova una storia noir in linea con la tradizione del periodo, piuttosto pulp, che ha un suo interesse ma che non si vede cosa abbia a che fare con l'idea di cinema di Wells. Il quale poi l'ha modificata inserendoci tra l'altro una lunga parte centrale che non si capisce bene che utilità abbia nell'economia del racconto se non quella di permettere all'intera troupe di farsi una bella vacanza a sbafo nei mari del Sud.

Leggo che lo stesso Wells accredita nelle sue memorie l'ipotesi che il romanzo originale sia stato preso praticamente a caso e adattato alla meno peggio. Da notare che lo stesso titolo scelto per il film è praticamente privo di senso. Elsa (la Hayworth) sarebbe infatti una nobildonna bielorussa fuggita dalla rivoluzione, che avrebbe riparato per qualche tempo in Cina, facendo anche tappa a Shanghai, che viene citata solo una volta e che non ha alcuna importanza nella trama, prima di raggiungere gli USA, dove ha sposato un importante avvocato penalista, tale Arthur Bannister (Everett Sloane).

La storia è narrata seguendo il punto di vista di Michael O'Hara (Wells), un marinaio/avventuriero irlandese che ha pure servito il governo spagnolo contro Franco, sperimentando le galere di quel Paese (ma anche tutto questo non ha grande rilevanza nel film). Costui incontra fortunosamente Elsa nel Central Park di New York, e perde per lei la testa. Non conclude in quanto, avendo una sua moralità, è contrario a cornificare il di lei marito. Il marito invece, nonostante le sue rimostranze, lo assume per una crociera privata che porterà la brigata sull'altra costa. Lungo il viaggio Michael conosce il socio di Bannister, che gli propone un complicato e assurdo piano che include un finto omicidio e un altrettanto finta confessione. Il tutto suona così fasullo che non si capisce come Michael faccia a cascarci, e anche lui del resto, grazie al voice-over, continua a ripetere che non lo sa nemmeno lui.

Come ci potevamo aspettare, Michael finisce in un grosso guaio, al punto che finirà processato per un omicidio che non ha commesso e difeso da colui che potrebbe essere stato il vero assassino. Ne esce in modo rocambolesco, ma solo per finire in un'attrazione da fiera con specchi distorti, scivoli e diavolerie assortite dove si consumerà la resa dei conti con relativo scioglimento dell'intricata matassa.

Le linee guida del noir sono più o meno rispettate, con una dark lady di tutto rispetto (la Hayworth) al centro di un impiccio confuso, e un tale (Wells) che se ne innamora nonostante questo entri in conflitto con la sua morale e ostacoli la soluzione di un mistero. Però Wells non interpreta un investigatore, e non ha nemmeno in mano nessuna buona carta da giocare. In pratica viene trascinato in una storia che non capisce, se non per intuizione, fino al finale rivelatore. Contrari al genere anche i ripetuti accenni comici. Freddissima la relazione tra i due protagonisti, che si spiega leggendo come fossero sull'orlo del divorzio, che venne firmato poco dopo la conclusione delle riprese.

Nonostante il caos della sceneggiatura, il risultato è sorprendentemente affascinante. La scena del picnic, in cui Michael racconta una storia di squali cannibali che mostra come abbia intuito in che situazione si sia ficcato, ma non riesca ad uscirne, è un pezzo di bravura per Wells-attore. Il finale con la sparatoria tra gli specchi è una delle scene cardine del cinema, che basta da sola a far riconoscere che la regia del film sia di Wells, senza bisogno di alcuna firma.

Nessun commento:

Posta un commento