Farebbe la sua figura in un ciclo sul neorealismo, anche se Riso amaro, sempre di Giuseppe De Santis ma dell'anno prima, è un buon candidato a rubargli la scena. Interessante vederlo a ridosso de Il lupo della Sila per paragonare come un tema simile sia stato sviluppato da un autore (Duilio Coletti) esterno al neorealismo.
A Francesco Dominici (Raf Vallone), pastore ciociaro, sta andando tutto storto. Torna dalla guerra e scopre che alla famiglia è rimasto solo un agnello, il resto se lo è rubato Agostino Bonfiglio (Folco Lulli). Costui ha pure convinto i Silvestri a barattare le cambiali di cui si erano coperti con la loro figlia Lucia (Lucia Bosé), che è innamorata di Francesco. Il matrimonio tra i due è ormai imminente.
Francesco decide di riprendersi le pecore con la forza, anche, e forse soprattutto, come mezzo per convincere Lucia a tornare con lui. Il piano però fallisce miserabilmente. Agostino li insegue, trova la sorella di Francesco, Maria Grazia (Maria Grazia Francia), con alcune "sue" pecore, deduce che i perpetratori sono i Dominici e, già che c'è, violenta la giovinetta.
Il giorno dopo si reca di buon mattino dai Dominici con i carabinieri e fa arrestare Francesco nonostante questi ribadisca che si era solo ripreso quello che gli era stato rubato. Tutti quanti sanno che Francesco ha ragione, ma nessuno osa testimoniare a suo favore. La mazzata finale gli arriva da Lucia, che al processo nega di sapere alcunché della faccenda. Il poveretto è annichilito, al punto da dichiarare di essersi inventato tutto - per salvare Lucia da una accusa di falsa testimonianza - e se ne va mogio in galera.
Vengono celebrate le nozze tra Lucia e Agostino, ma Maria Grazia, che nel frattempo è diventata l'amante segreta di Agostino, rivela pubblicamente la sua condizione, così che Lucia ha buon gioco nell'evitare che il matrimonio venga consumato. Maria Grazia viene presa in casa Bonfiglio per volontà della madre di Agostino.
Questa ultima offesa all'onore della sua famiglia fa perdere a Francesco il lume della ragione, evade in compagnia di un ladruncolo napoletano (*) animato dal desiderio di farsi giustizia da solo. Per sua fortuna, gli altri pastori ne hanno fin sopra i capelli di Agostino, e lo aiuteranno a trovare una via per sbrogliare la complicata matassa.
De Santis mescola abilmente stili molto diversi, il neorealismo indugia sulla situazione dei pastori ciociari, ma l'azione a forti tinte è in puro stile melodrammatico di inizio secolo, al punto che certe pose dei protagonisti, in particolare di Vallone, viste oggi muovono più al riso che alla tensione emotiva. Lo sviluppo, poi, in certi momenti fa pensare ad un western casalingo, quasi a prefigurare la nascita dello spaghetti-western.
(*) Parte affidata a Dante Maggio, che appare anche ne Il lupo della Sila. In entrambi i film il suo ruolo ha la funzione di fornire un alleggerimento comico all'azione.
Non sono mai riuscito a finirlo, dico la verità anche perchè l'ho visto in tv ad ore impossibili della notte o di prima mattina....
RispondiEliminaBacio Blalbal!
Anche perché la prima parte è piuttosto lenta e datata, dovendo molto all'impostazione melodrammatica. Bacio, Nella :)
EliminaAnche io avevo notato il parallelismo con "Il lupo della Sila".Nessuno dei due mi è piaciuto particolarmente, forse perchè davvero un po' troppo datati anche se non è detto che tutti i film di stampo melodrammatico facciano quest'effetto.
RispondiEliminaCredo che il problema sia che la rappresentazione delle forti emozioni tenda a invecchiare rapidamente. Più che per altri generi occorre tenere ben presente quale fosse l'atmosfera del tempo di quando il film è uscito.
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