Ghost in the shell

Basato sul manga di Masamune Shirow che ha dato origine ad universo cyberpunk giapponese con ramificazioni un po' su tutti i media. L'idea della produzione (*) era evidentemente quella di creare un franchise alla X-Men / Wolwerine ma qualcosa sembra essere andato storto, e i bassi incassi americani sembrano aver già decretato la fine subitanea della serie.

La storia del maggiore Mira Killian (Scarlett Johansson) ricorda un po' quella di RoboCop, incrociata influenze da Total recall. Causa qualcosa che lei non ricorda, solo il suo cervello si è salvato, che è stato inserito dalla Hanka Robotics in un corpicino niente male ma interamente bionico. Do ut des, in cambio della sopravvivenza viene convertita in arma letale, parte di una squadra di polizia molto particolare al comando di Daisuke Aramaki (Takeshi Kitano). In genere agisce in coppia con Batou (Pilou Asbæk), gli altri elementi, pur sembrando anch'essi tipacci poco raccomandabili, restano sullo sfondo.

L'azione vera e propria inizia quando una organizzazione segreta, che pare essere capitanata da tal Kuze (Michael Pitt), si mette ad ammazzare scienziati della Hanka. E si limitassero a questo. Sfruttando l'intreccio sempre più stretto tra componenti biologiche e informatiche, costoro fanno del vero e proprio hackeraggio che incide anche sulla componente umana delle loro vittime.

La faccenda si inspessisce ancor di più quando rischia la vita la dottoressa Ouelet (Juliette Binoche) che è un po' la mamma del Maggiore, con tutte le implicazioni e complicazioni di tale rapporto. E poi le cose diventano ancor più intricate.

La regia di Rupert Sanders, pur non essendo molto personale non è disprezzabile. Evidenti, e probabilmente ineludibili, i riferimenti a un gran numero di altre pellicole del genere, a partire da Blade runner per le atmosfere futuristico-decadenti. Più complicata la relazione con Matrix, che è a sua volta inspirato dal manga di partenza, e che quindi non si capisce bene chi citi chi.

Polemiche a mio avviso poco sensate sono state fatte sulla occidentalizzazione della storia, in particolare per quanto riguarda la Johansson, che pure ha un pedigree tale da giustificare appieno la sua scelta come protagonista. Vero che fa un po' strano vedere il solo Kitano (**) rappresentare il sol levante tra i protagonisti, e ancora più che sia l'unico a parlare in giapponese. A questo punto sarebbe stato più simpatico se ci fosse stato un magma linguistico, che però sarebbe stato un incubo per lo spettatore.

Ovvia anche la semplificazione della trama, che da una originale meditazione sui problemi di accettare la fusione tra carne e metallo, e l'interazione tra individui così diversi anche strutturalmente, verte qui più sul tema dell'identità. Siamo più quello che facciamo o quello che la nostra storia ci porta ad essere? Più semplice, sì, ma certo non banale.

Avrei preferito un maggior approfondimento sui personaggi, che tendono ad essere rappresentati bidimensionalmente. Il tempo necessario lo avrei preso dagli scontri a fuoco, fatti anche bene, ma poco interessanti.

(*) Al cui centro sta la DreamWorks.
(**) E comunque il grande vecchio Beat regge benissimo la baracca, anche con i pochi minuti effettivi a disposizione.

2 commenti:

  1. Bello lo "shell", ma il "ghost" si vede poco... Penso che ormai "Ghost in the Shell" sembra un brand anacronistico. Che è stato superato dalle opere che si sono ispirato ad esso (vedi "Matrix").

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    1. Condivido la prima parte della tua recensione-lampo. La confezione è, almeno a tratti, splendente, il nervo dell'opera lo si apprezza meno.
      Il manga è ormai certamente datato, ma più che anacronistico lo direi storico. Non ci vedrei niente di male in una sua resurrezione contemporanea, adattandola ai tempi.
      So che tocco quello che per molti è un mostro sacro, ma a me Matrix non è che mi abbia entusiasmato (e stendo un pietoso velo sui due sequel).

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