The wolf of Wall Street

Sul finire degli anni ottanta, Jordan Belfort (Leonardo DiCaprio), giovinastro newyorkese di belle speranze, si fa assumere come ultima ruota del carro dalla LF Rothschild (ai tempi già trasformatasi ufficialmente in L.F. Rothschild, Unterberg, Towbin), che era una banca di investimento tra le più importanti di quei tempi. Il suo capo (Matthew McConaughey) gli spiega i rudimenti del lavoro (fregare il cliente e intascare il più possibile) e come combattere lo stress derivante (uso e abuso di sesso, alcolici, droghe varie). Dopo un paio di anni di gavetta, Jordan supera l'esame per diventare broker, e dunque accede all'attività vera e propria, che dura (almeno nel film, che è basato sul libro scritto dal vero Belfort) esattamente un giorno, che sarebbe poi il cosiddetto Lunedì Nero (Black Monday) del 1987, che ha battezzato il lungo periodo di instabilità finanziaria che dura tuttora. Tra i vari effetti collaterali di quel crollo di borsa ci fu pure la bancarotta della LF Rothschild, con conseguente licenziamento di Jordan.

Grazie al supporto della moglie (Cristin Milioti) Jordan riesce a stare a galla e, nonostante il periodo poco favorevole all'attività di cui si è invaghito, riesce a trovare un altro posto come broker, anche se lontano da Wall Street, e su bordo dell'illegalità. In pratica vende azioni senza alcun valore reale (i cosiddetti penny stock) a poveri diavoli che non hanno idea del pasticcio in cui si stanno andando a cacciare. Gli affari vanno così bene che, messosi in società con Donnie (Jonah Hill), un suo vicino di casa molto vicino al livello di idiozia congenita, fonda una sua società finanziaria dal nome altisonante e recluta come broker una mezza dozzina di suoi conoscenti, presentati come una masnada di incapaci o piccoli criminali la cui attività dominante è lo spaccio di erba.

Gli affari vanno bene, ma la moglie di Jordan sente un certo imbarazzo nel suo accresciuto tenore di vita, visto che sa bene che i soldi vengono sottratti a gente a cui servono per sopravvivere, e spinge il marito almeno a cambiare target, e cercare di spennare chi non ne risentirebbe così duramente. Jordan ci pensa un po' su, e capisce più che il lato morale della faccenda (che sembra aldilà del suo debole comprendonio) il lato economico. Un cliente ricco può essere spremuto molto di più di uno povero. Segue un vero e proprio diluvio di dollari che si abbatte sulla capoccia di Jordan e di chi gli sta attorno.

I soldi diventano così tanti che ci sono alcune conseguenze. I controlli della SEC aumentano, la stampa inizia ad interessarsi al caso, persino Forbes gli dà spazio creandogli il soprannome di lupo di Wall Street che avrebbe voluto essere negativo ma invece finisce per attirare l'attenzione di tanti piccoli squali in cerca di un maestro. Anche l'FBI si interessa a lui, e un agente (Kyle Chandler) inizia a raccogliere elementi. Inoltre Jordan decide che sia tempo di un bel divorzio per passare ad una pupa (Margot Robbie) più in linea con il suo nuovo status.

A questo punto la situazione è matura per la catastrofe, che in effetti arriva, però Belfort farà in modo di non capire la lezione e per uscirne scemo quanto era all'inizio della storia.

Film voluto da fortemente da DiCaprio, un po' meno da Martin Scorsese che ad un certo punto aveva abbandonato il progetto, per ritornare a bordo solo dopo aver ottenuto una maggiore libertà di azione di quanto aveva inizialmente spuntato. I due sono anche tra i produttori, e hanno praticamente deciso cosa fare della storia, in barba alla sceneggiatura di Terence Winter (che fra l'altro non aveva praticamente nessuna esperienza nel campo, venendo dalle serie televisive). Come ci si può aspettare, il livello della produzione è alto, notevole il cast che include anche gente come Rob Reiner (padre del protagonista), Jon Favreau (anche lui più noto come regista, entrambi sembrano divertirsi a fare spesso gli attori) e Jean Dujardin (è il banchiere svizzero).

Nonostante tutto, a me non è che sia piaciuto un granché. Il problema più evidente è la lunghezza. Tre ore sono troppe, anche perché non è che ci fosse poi così tanto da dire. Sesso, droga, imbecillità. Concetti facili da trasmettere al pubblico, la reiterazione dei quali non ha aggiunto nulla, se non una gran stanchezza. Forse l'idea era quella mostrare come rivoltolarsi nell'eccesso finisce per portare alla nausea, ma non mi sembra che il risultato ottenuto sia quello. Per quanto mi pare di aver capito, direi che gran parte degli altri spettatori si sono diverti, e alla fine erano solo stanchi. Per conto mio, la nausea m'è venuta subito, già all'inizio. Veder gente che gioca al lancio del nano non mi fa ridere, mi disgusta. Dato che l'essere umano è molto adattabile, col passare delle ore mi è passato anche quello, restandomi solo un certo tedio.

La scena che mi ha più divertito è quando il protagonista invita l'agente dell'FBI che sta indagando su di lui sul suo yacht, per un maldestro tentativo di corruzione. E quello, senza tanti giri di parole, gli dice che è un poveraccio. Quanta verità in quelle parole.

4 commenti:

  1. Mi è piaciuto e le tre ore sono filate vie, ma sono di parte perché adoro DiCaprio.
    A me è venuto lo schifo a vederli perché che vita è quella? Se non si drogano, non riescono a divertirsi? E' così noiosa la vita dei ricchi? Sono così abituati ad avere tutto, a non lottare, che non sanno come andare avanti? Questo film mi è piaciuto anche perché non ci sono inutili buonismo, la realtà è questa e basta (credo, non so cosa stia stato tolto o aggiunto dalla vita di Belfort).

    Agli Oscar questo dovrebbe essere l'anno di Leonardo DiCaprio, non possono ignorare questa interpretazione.

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    1. Lo sai come funzionano gli Oscar, la vera selezione è quella che determina la cinquina. La vittoria del premio è quasi una lotteria. Dunque DiCaprio non è stato ignorato. Volendo fare un pronostico punterei però su Chiwetel Ejiofor, e se votassi lo farei per Bruce Dern.

      Non mi stupisco della tua resistenza, è noto che il megaincasso di Titanic sia dovuto anche a quelle fan di DiCaprio che si guardavano il film più volte di seguito. Ma prova a fare un esercizio di fantasia, e chiederti come avresti reagito con una altro protagonista.

      Un film non mostra la realtà. Nessun film può farlo, non è umanamente possibile. Già la sola scelta del punto di vista determina buona parte del senso di una storia. Se invece di far parlare Belfort avessimo seguito l'indagine di polizia il risultato sarebbe stato molto diverso. E, per i miei gusti, più interessante.

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    2. secondo me, LDC non ce la fa (la statuetta andrà a Matthew McComesichiama)
      tra i giurati dell'Academy molti sono i moralisti che per il personaggio del Lupo Bastardo non provano alcuna simpatia
      mentre il tema dell'AIDS (di cui qui in Italia non parla quasi nessuno) là è molto sentito

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    3. Non è che la simpatia del personaggio sia un elemento così importante per l'attribuzione dell'Oscar. Come controesempio pensa a Daniel Day-Lewis per Il petroliere. Detto questo, a me Belfort non sta per niente simpatico, ma se mi dici che sono un moralista ti spernacchio. Direi piuttosto che è uno sciocco, molla la prima moglie (senza la quale sarebbe stato un fallito, anche secondo il suo metro), ha come unico valore il denaro, ma non sa che farsene, tradisce tutto e tutti, l'unico che non tradisce è proprio quello di cui non si sarebbe dovuto fidare, e alla fine del suo lungo percorso dimostra di non aver capito niente di tutto quello che gli è successo (esemplificato dal fatto che torna al trucco della vendita della penna che avevamo visto all'inizio della sua parabola).
      Per l'altro film, secondo me l'AIDS è un veicolo per parlare d'altro, in particolare la contrapposizione tra individuo e governo, e mi pare che sia questo il tema che interessa maggiormente agli americani, più che il malanno.

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