Flight

Dal trailer sembrerebbe un film alla Airport. E questo a me, che non interessa molto il genere catastrofista, ha avuto l'effetto di farmelo snobbare al momento della sua uscita. Errore clamoroso, perché solo la prima mezz'oretta prevede un volo e relativa catastrofe, per il resto del tempo, che non è poco visto che la pellicola supera le due ore, si seguono altre strade.

Ottima come sempre la regia di Robert Zemeckis (*), ottimo pure il protagonista, un Denzel Washington in momentanea vacanza dai ruoli di action hero che gli offrono correntemente. Un po' troppo sopra le righe la sceneggiatura di John Gatins che ha una certa tendenza all'improbabilità, vedasi ad esempio Real steel.

Capitan Whip (Washington) è un pilota civile con una lunga storia di dipendenza da alcol, che bilancia con una dipendenza da cocaina, affianca ad una dipendenza da sesso e condisce con una dipendenza da tabacco. Come diamine faccia a volare ancora alla sua età (**) è un mistero. E in particolare a volare come fa lui, visto che gli vediamo fare un decollo che non vorrei mai sperimentare di persona, e soprattutto un atterraggio da far rizzare i capelli.

Nonostante le avversità, che includono un copilota, Ken (Brian Geraghty), a cui non affiderei la mia bicicletta, l'atterraggio di emergenza riesce decentemente. Purtroppo muoiono alcuni passeggeri e un paio di hostess, una che si è fatta prendere dal panico e l'altra che si è messa nei guai per salvare il solito bambinetto piantagrane. Tra l'altro quest'ultima, Katerina (Nadine Velazquez), condivideva col capitano la passione per alcol e sesso.

Dal punto di vista legale, la morte del personale di bordo non è un grosso problema, quella dei passeggeri sì. Tutti quanti cercano un capro espiatorio, e Whip, nonostante il suo comportamento sia considerato eroico, è un ottimo candidato per il ruolo. Per questo il suo avvocato cerca di far spostare l'indagine nella direzione della fatalità, che gli americani chiamano act of god, da cui una battuta incomprensibile nella traduzione italiana, dove ci si chiede che senso abbia pensare che una tale tragedia sia un atto di dio.

Fine del preambolo, inizia il film vero e proprio. Whip conosce Nicole (Kelly Reilly), bizzarramente introdotta da Fran (Adam Tomei, il fratellino di Marisa), un degente più di là che di qua nell'ospedale dove i tre si incontrano. I due scoprono di aver qualcosa in comune, la dipendenza da sostanze stupefacenti, e si mettono assieme. L'introduzione di Nicole nella storia sembra forzata, e la sua vicenda viene seguita poco e male dalla sceneggiatura. Al punto che lo spettatore dovrebbe chiedersi qual'è il suo senso di esistere, e quindi dovrebbe essere guidato a ragionare più sul tema delle dipendenze e di come affrontarle. Vediamo infatti che Nicole, dopo aver rischiato di tirare le cuoia, intraprende un serio percorso riabilitativo. Whip, invece, è ancora nella fase di negazione. E' convinto di poter smettere quando vuole, e se si ubriaca senza speranza è perché gli piace.

Oltre a mentire a se stesso, Whip è abituato a creare castelli di menzogne per proteggere il suo vizio, sul lavoro e nella vita privata. Menzogne che hanno le gambe corte, ma che lo hanno tenuto in pista per tutta la sua vita. Ora però deve scansare un indagine federale che contesta la sua sobrietà quando era al comando dell'aereo. Usando la sua solita strategia, che include anche l'uso di cocaina per mascherare l'ubriachezza, riesce ad arrivare fino alla prova finale, quando gli verrà chiesto di rendere accettabile la sua posizione scaricando un ultimo problema sulla memoria della defunta Katerina. Vedremo fino a che punto a comandare è Whip o l'alcol.

Zemeckis è abile a far vedere gli aspetti apparentemente positivi della dipendenza di Whip, che dopotutto gli permettono di tenere un regime di vita che è precluso ai comuni mortali, anche grazie al personaggio dello spacciatore di fiducia di Whip, Harling Mays (John Goodman), un fricchettone che sembra essere rimasto incollato agli anni settanta. Forse anche troppo.

(*) Sta per uscire il nuovo film di Zemeckis, un curioso progetto biografico su Philippe Petit e la sua camminata sospesa tra le torri del World Trade Center.
(**) Il buon Denzel è ormai sulla sessantina, portati splendidamente ma quelli sono e si vedono.

2 commenti:

  1. Non ti nego che all'epoca partii prevenuto, mi sembrava una storia già vista.
    Nel finale mi piacque abbastanza, mi ricredetti di tutto..

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    1. Passata la prima mezz'oretta molto adrenalinica che non mi ha dato tempo di pensare, anch'io non mi sentivo molto a mio agio visto come si sviluppava la storia. Finché non c'è stato il vero duello tra Whip e la sua dipendenza, in due parti, entrambi gestite al meglio da Washington e Zemeckis. Prima la scontro con la bottiglietta di vodka, poi quello con la commissione d'indagine. Entrambe da vedere.

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