Ombre rosse

Non mi stupisce che John Ford sia tra i registi del suo periodo più ammirati dai suoi colleghi. La scena dell'assalto indiano della diligenza, un tiro a sei lanciato a tutta velocità nel deserto, è un pezzo di maestria assoluta (*), senza nemmeno bisogno di star tanto a pensare come cavolo possono averla girata, con i mezzi a disposizione all'epoca. Notevoli anche le scene girate in interno, realizzate solitamente con minimi spostamenti di macchina, e a volte con un curioso indugiare a fine sequenza sul personaggio che in quel momento è sotto la lente (**), come se lo si volesse studiare anche fuori dall'azione.

Altro aspetto di assoluto rilievo, è la capacità di tenere assieme un cast composito, dove nessuno spicca, perché è l'interazione tra personaggi estremamente diversi a reggere il racconto. Pare infatti che Ford sia stato colpito proprio dall'idea di mettere un microcosmo dagli stridenti contrasti in un ambiente claustrofobico e tirare le corde degli accordi e contrasti. Meno interesse aveva trovato nel succo della storia breve, firmata da Ernest Haycox che, a dire il vero, non è tra le sue cose più riuscite. C'è da dire anche che il racconto è pesantemente ispirato da Palla di sego di Guy De Maupassant, trasposto da una guerra franco-prussiana al west, eliminandone quasi totalmente la graffiante polemica sociale e aggiungendovi un lieto fine ben poco convincente. La sceneggiatura di Dudley Nichols approfondisce meglio i caratteri, ma rende la storia più confusa, sia per adattarla al protagonista maschile, inesistente nel racconto originale, dal peso minimo nella versione di Haycox sia per gonfiare maggiormente l'happy end, a ulteriore scapito della credibilità della storia.

Una diligenza è in viaggio nel West, quando all'improvviso Geronimo diventa turbolento. Per motivi vari, il viaggio deve proseguire e, ognuno per il suo motivo, magari anche sottovalutando i pericoli, i passeggeri decidono anch'essi di continuare. Diverse le tensioni tra di loro, catalizzate in particolare su Dallas (Claire Trevor), prostituta che è costretta a cambiare paese, e su una signora di relativa alta classe che è in viaggio per raggiungere il marito, ufficiale dell'esercito. C'è poi un giocatore d'azzardo professionista (John Carradine) che intraprende il viaggio con l'idea di far da cavalier servente alla dama, e un medico ubriacone (Thomas Mitchell - premiato con l'Oscar per questa interpretazione), anch'egli imbarcato in quanto poco apprezzato in paese. Lo spazio sarebbe già scarso, ma il banchiere locale si aggrega all'ultimo momento (***) e poco dopo un avanzo di galera dal cuore d'oro, Ringo Kid (John Wayne) finisce per riempire anche l'ultimo strapuntino.

Ne capitano un po' di tutti colori, con un parto in condizioni di emergenza, responsabili di stazioni di cambio che si dimostrano irresponsabili, donne indiane che cantano in spagnolo, fino ad arrivare alla scena madre, dove ogni proiettile dei bianchi ammazza (almeno) un pellerossa. Finale con Ringo Kid (°) che regola i suoi conti e si avvia verso una nuova vita con la sua bella.

(*) Non per nulla il titolo originale è Stagecoach.
(**) Credo che si tratti di una vestigia del modo di dirigere tipico dei film muti. Il cinema era giovane, e lo spettatore aveva bisogno del suo tempo per digerire le scene, e magari scambiare qualche osservazione col vicino senza interferire con la recitazione. Al giorno d'oggi la sensazione che mi dà è di una piacevole calma narrativa, contrapposta ai montaggi moderni che spesso hanno raggiunto una freneticità al di là del bene e del male.
(***) Personaggio bizzarro. Sta scappando con la cassa ma fa discorsi benpensanti e conservatori che ricordano molto gli slogan recentemente riutilizzati da Donald Trump. E invece di starsene buono nel suo angolino, cercando di passare inosservato, sembra far di tutto per mettersi in mostra. Mal gliene incoglierà.
(°) Wayne aveva già più di trent'anni, altro che "kid"! Ma d'altronde, la Trevor non ha certo l'aspetto di una prostituta da saloon, e anche per lo stato interessante della puerpera bisogna andare sulla fiducia.

4 commenti:

  1. Indimenticabile!
    "Se vedrete il giudice Greenfield ditegli di suo figlio..."

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    1. Chi l'ha visto da piccino (come ad esempio il sottoscritto) non può non aver scolpito nel profondo qualche immagine e battuta del film.

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  2. Aggiungo 2 cose su John Ford (ci vorrebbe un post articolatissimo, un postone, per dire tutto quello che vorrei sul Maestro del Maine):
    1- Era davvero un coraggioso (alla battaglia delle Midway rischiò la vita)
    2- Rispettava la persona dei nemici (indiani, sudisti, giapponesi ecc) più di quanto non si faccia oggi

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    1. Io non ci penso nemmeno, troppo al di là delle mie capacità e conoscenze. Spero che prima o poi tu troverai il tempo!
      Per il poco che so, era davvero una persona di notevole spessore, e non solo uno tra i grandi della storia del cinema.
      Per quanto riguarda il rispetto nei confronti degli altri, avrei qualche distinguo da porre. Spesso non lo si vede nei suoi film, e non perché gli mancasse, piuttosto perché riteneva che una pellicola dovesse per prima cosa portare a casa i soldi che era costata, e dunque non aveva problemi a dare al pubblico quello che voleva, anche se questo voleva dire usare le immagini stereotipate che i paganti si aspettavano.
      Immagino che, come talvolta accade ai grandi, sottovalutasse l'impatto della sua opera.

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