Un po' come Gorky Park (1983), anche in questo caso si tratta di un romanzo (*) poi diventato film poliziesco di ambientazione russo-sovietica ma narrato da un punto di vista occidentale (**). Forse l'intreccio originale era troppo complesso per essere reso in tempi cinematografici, ho letto da qualche parte che il grosso problema del montaggio (***) è stato quello di ridurre l'enorme quantità di girato ad una dimensione non irragionevole. Il dubbio che mi viene è che Daniel Espinosa (regia) si sia fatto prendere la mano e non sia riuscito a decidere cosa tagliare e cosa tenere di una storia così complessa. Nel qual caso Richard Price (sceneggiatura) si dovrebbe prendere la sua parte di responsabilità.
Negli anni trenta un bimbo ucraino scappa dall'orfanotrofio e viene informalmente adottato da una unità dell'armata rossa di stanza da quelle parti. Nel decennio successivo il bimbo è diventato sergente, ha preso il nome di Leo Demidov e le sembianze di Tom Hardy. Per puro caso diventa un'icona della vittoria contro il nazismo con tutti i vantaggi che ne conseguono. Passa un'altro decennio e lo ritroviamo capitano dell'MGB, quella simpatica struttura che poi diventarà il KGB, sposato alla bella Raisa (Noomi Rapace), di cui sembra così innamorato da non rendersi conto quanto lei poco ricambi.
Leo è un po' meno brutale dei suoi colleghi, in particolare non gli piace che si ammazzino bambini, e questo gli causa uno scontro con un suo sottoposto, Vasili Nikitin (Joel Kinnaman), che capiamo subito diventerà il suo nemico giurato. A parte questi dettagli a Leo non sembra dispiacere per niente il suo lavoro, ed è disposto a chiudere un occhio, o anche tutti e due, quando è il caso, sugli ordini che deve eseguire. E per questo motivo il suo capo, il maggiore Kuzmin (Vincent Cassel), gli affida l'ingrato compito di spiegare all'amico fraterno di Leo, Alexei Andreyev (Fares Fares), che il di lui figlioletto non è stato ucciso da un maniaco, ma da un incidente ferroviario.
E qui mi occorre aprire una parentesi. Per quello che ne posso capire io, l'ambientazione stalinista della storia non è resa male, vedasi magari The way back (2010) di Peter Weir per un confronto, Tom Rob Smith fa però uno scatto in avanti che mi pare eccessivo. Prende la storia di quello che credo sia il più famoso serial killer sovietico, Andrei Chikatilo, la sposta indietro nel tempo di qualche decennio, e imputa il suo averla fatta franca così a lungo all'assenza di investigazione sul suo conto giustificata dall'assioma, più volte ripetuto nel corso della narrazione, secondo cui non possono esistere omicidi in paradiso - dove per paradiso si intende il Paese in cui si è realizzato il comunismo. Questo mi pare eccessivo. Nemmeno ai tempi dello stalinismo si negava che esistessero assassini, mentre è vero che si faceva molta fatica ad accettare che ci fossero fenomeni, come pedofilia, omosessualità, omicidi seriali, che venivano indicati come perversioni dei nemici ideologici. Non riesco dunque a capacitarmi di come un pezzo grosso dell'MGB saboti le indagini per quello che a tutti pare un evidente caso di omicidio quando questo, poi, colpisce il figlio di un suo uomo. Dal punto di vista narrativo ha un senso, perché crea un grosso problema a Leo, che è quello che ci vuole per scardinare la sua fedeltà al sistema, dal punto di vista storico mi pare troppo debole. Forse meglio sarebbe stato se Smith avesse spostato l'ambientazione in un mondo distopico, alla 1984 di George Orwell. Ma si vede che non era nelle sue corde.
Leo riesce a superare questa prova, convince Alexei a credere alla incredibile verità ufficiale, e passa alla seconda prova. Sua moglie Raisa è stata indicata come spia, suo dovere è indagare e arrestarla. Leo invece indaga, si convince dell'innocenza di Raisa e non l'arresta. In questo modo le salva ma la rovina ad entrambi, spediti a vivere in un paesino nel mezzo del nulla con mansioni molto ridimensionate. Succede però che anche in quel paesino colpisca il serial killer, e Leo si trovi a scortare il suo nuovo superiore, il generale Mikhail Nesterov (Gary Oldman), sulla scena del crimine, non tenendosi per sé tutto quello che gli pare ovvio sul caso. Il povero Nesterov ha motivi di temere un trappolone tesogli da chissachi nei suoi confronti. Non è che Leo sia stato spedito lì da Mosca per beccarlo alla prima mancanza?
Riassumendo. Da una parte abbiamo un superpoliziotto che non riesce ad indagare perché tutta la polizia è contro di lui, dall'altra abbiamo un travagliatissimo serial killer (Paddy Considine) che sembra sarebbe felicissimo di essere fermato. Leo, che aborrisce i crimini contro l'infanzia, potrebbe beccarlo in un momento, ma per far questo deve riuscire a trovare qualcuno che l'aiuti. Ci sono alcuni candidati, tutti per un motivo o per l'altro, improbabili. Alexei, suo grande amico, non è più tale; sua moglie Raisa, di cui lui è così innamorato da aver rischiato tutto per lei, sembra essere solo impaurita da lui; il suo capo Nesterov è estremamente diffidente nei suoi confronti. Come andrà a finire?
Una bizzarria che credo non abbia giovato al film, almeno dove è stato distribuito in lingua originale. Alcuni tra i protagonisti, in particolare Tom Hardy, parlano in inglese con un fortissimo accento slavo. Cosa che ovviamente non ha senso. Leo parla in inglese solo perché il film è pensato in primo luogo per un pubblico di quella lingua, Hardy parla un bell'inglese quanto possiamo immaginare sia buono il russo di Leo. Perché mai renderlo buffo facendolo parlare così? Fosse un film comico, a suo modo la cosa potrebbe funzionare. Ma qui di comicità, almeno volontaria, non ce n'è nemmeno traccia.
(*) Bambino 44, opera prima di Tom Rob Smith.
(**) Gorky Park puramente americano, Child 44 più internazionale, con la Scott Free di Ridley Scott in primo piano.
(***) Firmato da nientemeno che Pietro Scalia e Dylan Tichenor.
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