Il diavolo veste Prada

L'ultima mia visione risaliva a 3 anni fa, l'impressione complessiva non è cambiata, film guardabile, un po' confuso a livello di quello che vuole dire, il suo punto di forza è sicuramente nell'ottimo cast artistico.

Curioso che mi sia capitato di vederlo subito dopo 20 anni di meno, che me l'aveva fatto venire in mente, e dopo che il giorno stesso era venuto fuori, parlando con un collega, che non sono stato l'unico ad aver visto From Prada to nada, anche se per quest'ultimo il legame si limita al nome della celebre maison italiana di moda nel titolo.

Volendo, tutta la storia narrata dal film è riassunta dalla canzone che sentiamo sui titoli di testa, Suddenly I see di KT Tunstall, e credo che ormai sia nota anche ai sassi. In ogni caso, capita che Andrea/Andy (Anne Hathaway) è una neolaureata in materie umanistiche che vorrebbe diventare giornalista, si è trasferita a New York col fidanzato (che vorrebbe fare il cuoco) in caccia di una buona occasione, che non arriva. Viene invece chiamata per fare la vice assistente della terribile Miranda (Meryl Streep) che dirige un giornale di moda (in pratica Vogue, ma sotto falso nome). Lei non ha nulla a che fare con quel mondo, non capisce un tubo di stile, e trova francamente ridicolo tutto quell'affannarsi attorno al nulla. Per motivi ignoti, nonostante tutto ciò viene assunta. L'ambiente è ipercompetitivo, e deve letteralmente combattere contro la capa che vessa chiunque le stia attorno (pensando di mostrare così la sua forza, mentre tutto ciò non può che essere dovuto ad una sua evidente mancanza di sicurezza in quello che fa ed è) e l'altra assistente (Emily Blunt) che si trova a dover temere sia che Andy faccia male il suo lavoro (la capa se la prenderebbe con lei) sia che lo faccia bene (potrebbe venir scavalcata). L'unico modo per sopravvivere in un tale ambiente è quello di venirne assimilati, e così Andy, grazie anche all'alleanza con Nigel (Stanley Tucci), un creativo di alto rango, apprende rapidamente come muoversi, vestirsi, e comportarsi in quel mondo, trasformandosi da brutto anatroccolo in splendente cigno. D'altra parte, questa trasformazione comporta anche che Andy trascuri completamente tutto quello che la definiva come persona, gli amici, il fidanzato, la famiglia, i suoi interessi culturali, diventando a tutti gli effetti una persona diversa.

Colpo di scena finale, Andy scopre che quel mondo non fa per lei e, con una rapida retromarcia, riesce ad uscirne per andare a fare la giornalista. Ma non è una retromarcia vera e propria, piuttosto un'altra trasformazione, che non viene bene spiegato in chi o in cosa, a causa della fine del tempo a disposizione.

Tra gli attori maschili, spicca il solo Stanley Tucci mentre il cast femminile è ottimo con Meryl Streep che domina incontrastata, ma brava anche Emily Blunt nel caratterizzare l'assistente schiacciata dalla personalità della sua capa. Continua a sembrarmi poco incisiva Anne Hathaway forse perché, pur essendo la protagonista, non è che il suo personaggio sia ben definito. Credo che il problema stia nell'origine autobiografica della storia e, visto che Andrea è l'alter ego della scrittrice (Lauren Weisberger), deve trattarsi di un peccato di auto-indulgenza. Sembra infatti che Andrea non faccia mai niente di sbagliato, se finisce in situazioni balorde è solo perché è vittima delle circostanze. Inoltre il twist finale, in cui decide di mollare il suo lavoro nel momento in cui ha ottenuto l'investitura ufficiale da Miranda, mi pare poco realistico. O Andrea ha assorbito lo spirito dell'ambiente, e allora quello che succede non dovrebbe stupirla, o ne è rimasta fuori, ma allora lo scollamento tra quello che fa e quello che pensa non dovrebbe sfuggire ad una vecchia volpe come Miranda.

Altra debolezza di racconto, che penso sia imputabile alla sceneggiatura (Aline Brosh McKenna) e alla regia (David Frankel), ma forse è causata da precise direttive di produzione, è nella sua indecisione nel prendere una posizione sui fatti.

6 commenti:

  1. La debolezza del racconto è insita nella storia originale, che -devo dire- è ancora peggio, perché più moralista. Ciò detto, libro e fil sono entrambi due ottimi mezzi per un pomeriggio spensierato!

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    1. Perdonami Cecilia, ma l'aggettivo "moralista", che pure non mi è mai stato particolarmente simpatico, mi è recentemente diventato odioso. Mi pare che venga usato del tutto impropriamente con lo scopo di svalutare opinioni altrui, che vengono tacciate, non so, forse di essere piccolo-borghesi, senza imbarcarsi nemmeno nel motivare il perché.
      Per quello che ne so, la debolezza principale del libro della Weisberger sarebbe quella di essere basato su un nucleo di pettegolezzi rivolti ad appartenenti della moda (principalmente newyorkese). Di morale (o moralista) ci sarebbe dunque ben poco, essendo più che altro un modo per monetizzare l'esperienza nel campo dell'autrice.

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    2. Sull'aggettivo posso anche essere d'accordo con te, chiedo venia.
      Nel libro, mi riferisco al fatto che la protagonista viene descritta in una specie di discesa agli inferi morale, in cui, per mantenere il lavoro (e anzi eccellere) dimentica amici parenti e colleghi. L'autrice mi sembra un po' fasulla proprio nel suo giudizio (mi dispiace, ma lo dà!) del denaro e della vacuità dell'ambiente modaiolo, "unici responsabili" del crollo di Andrea. Nel finale, al contempo più melenso e meno ottimista di quello del film, Andrea ricusa del tutto l'appartenenza a quel mondo, come se dei lustrini fosse la colpa di non aver notato l'amica che nuotava nell'alcol fino a schiantarsi in macchina.

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    3. Grazie per il riassunto del libro, adesso capisco meglio cosa volevi dire. Scusa per la tirata, ma sai com'è, ad alcuni vengono i brividi quando sentono dire "un attimino", ognuno ha le sue fissazioni.
      Più che moralismo mi pare che sia un comodo meccanismo di difesa. Anche nel film il personaggio di Andrea mi è sembrato irrealistico, bella, buona e brava. A comportarsi male e a fare errori sono solo gli altri. Evidentemente lo sceneggiatore ha mantenuto l'impostazione del libro.

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  2. Miranda, il capo che nessuno vorrebbe avere (ma purtroppo mi sa che ce ne sono tanti, se non così più o meno).
    A mio avviso una delle migliori interprtazioni della Streep, che però assomiglia un poco a Glenn Close nel film "La carica dei 101".

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    1. Il personaggio è la fotocopia (caricata, romanzata, adattata, travestita) di Anna Wintour, la mitica direttrice dell'edizione americana di Vouge. Una volta ho avuto un capo così. Ho fatto in modo di andarmene rapidamente, noto però che molti si lamentano ma accettano, e altri non si lamentano nemmeno. Del resto anche Andrea ha un giudizio articolato su Miranda. E' una carogna, sì, però ...

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