Where to invade next

La definizione di documentario gli sta stretta. Lo è nel senso che ha dato al genere Michael Moore. Ovvero, se si deve scegliere tra illustrare approfonditamente i fatti, dando magari dati precisi, o ricorrere a immagini ad effetto che diano il senso di quello che Moore vuole dire, non c'è storia, si preferisce intrattenere lo spettatore, magari fargli fare una bella risata, ma restando sul vago.

Vedasi l'unico grafico mostrato nelle due ore del film. Una rappresentazione delle tasse pagate in USA e Francia con due pile di monete, senza fornire alcun numero. Dopodiché viene confrontata una busta paga francese con una americana, e si ipotizza come sarebbe quella di oltreoceano se fosse fatta allo stesso modo, e lì sì che si fanno vedere numeri, ma per pochi secondi, e senza grandi spiegazioni, solo per sottolineare quanto sia pesante la fetta di bilancio pubblico americano dedicato alle spese militari.

Il punto della storia, narrata come se a Michael Moore fosse stato dato il mandato di visitare il mondo (*) per scoprire dove andare a fare la prossima guerra, anche se solo in senso metaforico (**), con lo scopo di prendere qualcosa e portarlo a casa.

La prima tappa è l'Italia, e quindi abbiamo modo di vedere subito come le tesi di Moore siano un pochino forzate, come dice lui stesso, è interessato alle buone idee, non sta tanto a vedere il lato negativo della medaglia. Si mostra infatti come siamo fortunati noi ad avere contrattualmente un numero incredibile di giorni di vacanza, il che è comprensibile dal punto di vista americano, dove non esiste una soglia minima di giorni di ferie, e normalmente avere due settimane all'anno (sì, dieci giorni) è considerato un buon risultato. Nella lente deformata di questo "documentario" sembra che l'Italia sia una specie di paradiso, dove le occupazioni principali siano fare sesso e mangiare bene. Il che sarebbe molto bello, ma non è che sia proprio così.

Occorre quindi non lasciarsi prendere troppo dall'entusiasmo, comunque è bello vedere quante buone cose ci siano in Europa (***), e come siano percepite con stupore oltreoceano.

Se tutto il racconto è fin troppo lusinghiero per noi, il finale ribalta le cose. Lo scopo è ovviamente quello di ingraziarsi il pubblico americano per cui il film è stato pensato. Moore, infatti, afferma che tutte le buone cose che ha trovato sono in realtà invenzioni americane, di cui loro nel frattempo si sono dimenticati e di cui noi abbiamo approfittato. Il che ovviamente non è vero, ma permette allo statunitense tipo di non deprimersi troppo.

Io che già conoscevo il modo di operare di Moore non mi sono sorpreso di quel che vedevo, ho notato però che i rari altri spettatori sono rimasti perplessi dal primo capitolo, quello italiano di cui avevano conoscenza diretta, ma poi si sono lasciati prendere per mano per le narrazioni relative agli altri Stati, finendo per accettare più acriticamente le tesi.

E, secondo me, questo il brutto di questo modo di raccontare storie. Moore dovrebbe avere più coraggio, mostrare anche gli aspetti che vanno contro quelle che sono le sue convinzioni. Un documentario dovrebbe in primo luogo mostrare fatti, e semmai solo secondariamente portare le convinzioni dell'autore.

(*) In realtà solo alcuni Paesi europei e la Tunisia.
(**) Fortunatamente per noi.
(***) E in Tunisia.

2 commenti:

  1. Beh, non si può pretendere che un polemista sia imparziale nel riferire i dati di fatto; anche Voltaire che, per criticare la sua Francia, riferiva di un'Inghilterra in cui tutto funzionava alla perfezione USAVA MOLTA FANTASIA
    Comunque, bisognerà che lo veda...

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    1. Nonostante le mie riserve sull'uso creativo del formato documentaristico, è comunque una visione interessante. E anche divertente, nel senso che qua e là qualche scenetta buffa rallegra lo spettacolo.

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