Il riferimento a Il diavolo veste Prada ha il solo scopo di attirare spettatori distratti. La solita geniale invenzione della distribuzione nostrana che normalmente ha un effetto boomerang, visto che chi si aspetta qualcosa di completamente differente finisce per restare deluso dalle aspettative sbagliate.
La storia si svolge integralmente negli anni cinquanta in un desolato paesino nell'outback australiano, a cui fa ritorno, dopo un lungo forzato esilio, Myrtle Dunnage, che ora si fa chiamare Tilly (Kate Winslet), animata da una feroce sete di vendetta nei confronti dei suoi compaesani, e dal desiderio di accudire la sua anziana e malmessa madre, Molly Dunnage (Judy Davis), meglio nota nel circondario come La pazza.
Lo sviluppo è quello tipico di uno spaghetti western, Tilly è inizialmente sola contro tutti, però a dalla sua parte la ragione di chi ha subito un torto, trova un alleato nel prestante vicino di casa, Teddy McSwiney (Liam Hemsworth), anche lui un reietto, accettato nella comunità perché la famiglia fa un lavoro che nessuno vuol fare e perché lui è il campione della locale squadra di rugby. Da qui le cose evolvono, lei riesce a far breccia nella comunità, per arrivare con abbastanza frecce nella sua faretra per lo scontro finale.
Ci sono però alcune variazioni sostanziali. In primo luogo Tilly non è una pistolera ma una sarta. E dovrà usare la sua capacità di realizzare abiti strepitosi (*) per ottenere i suoi fini. Questo causa, ad esempio, che riuscirà a portare dalla sua parte il locale rappresentante della legge, il sergente Farrat (Hugo Weaving), sfruttando la sua fatale attrazione per il cross-dressing (**).
Alla base della sceneggiatura c'è il primo romanzo di Rosalie Ham, risalente al 2000, e che ha avuto un buon successo dalle sue parti, ma mi pare di capire abbia avuto una accoglienza molto tiepida nel resto del mondo, e credo che da noi sia stato pubblicato solo in abbinata con l'uscita del film. La traduzione in pellicola non è stata cosa semplice, risolta grazie al lavoro dei coniugi Jocelyn Moorhouse e P.J. Hogan (***), che sono riusciti a condensare in due ore l'abbondanza del materiale originale e la sua varietà di toni riuscendo ad evitare il rischio di debordare in una farsa sconclusionata.
Ad ottenere il risultato ha contribuito di certo l'ottimo cast che, oltre ai nomi sopra citati (°), include anche Sarah Snook, nel ruolo di Gertrude Pratt, poi detta Trudy. E anche la bella colonna sonora di David Hirschfelder che alterna opportunamente temi da western all'italiana a suggestioni post-minimaliste.
Il tema della vendetta contro una piccola comunità che si autorappresenta come superiore per poi mostrare di avere una lunga serie di peccati con cui dover fare i conti mi sembra sia in debito nei confronti di Friedrich Dürrenmatt, vedasi La vendetta della signora (1964), tratto da La visita della vecchia signora (1956), e con buona parte della produzione cinematografica di Lars Von Trier, come ad esempio Dogville. La mancanza di memoria di Tilly sul fatto chiave della sua infanzia che ha determinato tutta la storia mi ha ricordato L'amore molesto (1995) di Mario Martone, ma non credo che la Ham avesse avuto modo di conoscerlo. O forse sì, visto che la sceneggiatura è tratta dal romanzo omonimo di Elena Ferrante (1992) che ha avuto una buona risonanza internazionale.
(*) Il suo esilio l'ha portata a vivere e imparare l'arte in Europa, vengono espressamente citate Milano e Parigi.
(**) E non si può non ricordare come Weaving fosse al centro delle vicende narrate in Priscilla - La regina del deserto.
(***) Lui ha lavorato al testo, lei lo ha affiancato e si è concentrata sulla regia. La Moorhouse non è stata molto produttiva, causa complicazioni della sua vita privata, ma il poco che ha fatto è certamente degno di attenzione, vedasi ad esempio Istantanee.
(°) Credo che se la Winslet non avesse accettato la parte difficilmente questo film avrebbe avuto una distribuzione così diffusa.
Assolutamente inaspettato. Si perde un po' nella parte centrale, quella più legata alla storia d'amore tra Tilly e Teddy, con trite cadute nel melò, ma l'inizio e la fine sono davvero particolari ed entusiasmanti!!
RispondiEliminaA mio parere non è che il melodramma sia un genere negativo di per sé, anche se si presta particolarmente a fornire stereotipi consunti. Quindi semmai rigirerei la tua frase con un "con cadute nel più trito melò".
EliminaPerò io qui di melodramma non ce ne vedo poi tanto. C'è isso, issa, ma manca o' malamente (per usare i personaggi di un genere affine, la sceneggiata napoletana), né le emozioni non sono enfatizzate oltre misura. Insomma, mi pare piuttosto una semplice digressione romantica della storia. Può piacere o meno, e a dire il vero neanche a me ha entusiasmato, mi pare che abbia comunque la sua ragione di essere nell'equilibrio del racconto.
Personalmente avrei finito un finale diverso, durante la visione mi è venuto in mente Come due coccodrilli di Giacomo Campiotti (1994), e mi sarebbe piaciuto se si fosse andati in quella direzione.