Con i racconti basati su viaggi nel tempo bisogna avere pazienza, il paradosso è inevitabile sin dalle premesse, e più si sviluppa la narrazione più le cose non possono che peggiorare. Looper non può che soffrire lo stesso problema, conviene dunque decidere prima di entrare in sala di accettare che i protagonisti vivano in un bizzarro mondo parallelo in cui le leggi della fisica sono a noi così incomprensibili che il viaggio del tempo risulta praticabile con il curioso bonus di una stravagante correlazione tra il corpo del viaggiatore del tempo prima e dopo la cura.
È un viaggio del tempo alla Ritorno al futuro, con il futuro che cambia a seconda delle interazioni del viaggiatore nel tempo con il suo passato. Altro riferimento ineludibile è quello con Terminator, visto che il protagonista, Joe, in versione anziana (Bruce Willis) spiega al se stesso giovane (Joseph Gordon-Levitt pesantemente truccato così da sembrare un possibile Willis da giovane) che vuole attuare un folle piano di ingegnerizzazione del futuro uccidendo da giovane un tale che al momento è un bambino, ma lui sa (o crede di sapere, la memoria è una facoltà opinabile in questi contesti) che da grande sarà un tipaccio. A far la Sarah Connor della situazione c'è Emily Blunt, che si trova ad essere contesa (e non intendo in senso romantico) tra lo stesso personaggio sfasato di trent'anni.
La parte debole della faccenda mi è sembrata quella relativa alla costruzione del personaggio del bambinetto terribile che metà del protagonista vuole eliminare e l'altra metà vuole difendere. L'avrei tagliato senza farmi problemi, avrei semplificato la trama, togliendo una (inutile, a mio avviso) ulteriore complicazione para-scientifica, e tanti saluti alla piccola peste. Vero è che si sarebbe dovuto cambiare anche il ruolo della Blunt, ma non mi pare un problema insormontabile.
Liquidata la parte fantascientifica, resta da dare un senso al film. A mio avviso, l'interesse sta nella relazione tra Joe giovane/anziano, e nel suo rapporto con la violenza.
Da giovane Joe è una persona di una vacuità demoralizzante. Ammazza, incassa la ricompensa, si droga, aspetta la pensione. Invecchiando (dopo molti, molti anni, e grazie ad un fortunato incontro) riesce a maturare e diventa una persona con una maggiore profondità. Uno a zero per Joe-vecchio? Mica tanto, perché il giovane dimostra che l'anziano ha perso la capacità di vedere le cose oltre all'immediato. OK, gli si possono dare delle attenuanti, una vita da killer, un viaggio nel tempo che deve essere una notevole fonte di confusione. Fatto è che nel finale, con un punto segnato all'ultimo minuto, è il Joe-giovane ad aggiudicarsi il derby, anche se paga ben caramente la vittoria.
La rappresentazione fornita del nostro futuro è sul deprimente andante. Violenza e decadimento. Joe-giovane, fino all'incontro con se stesso anziano, accetta senza problemi quella legge del branco. I fatti narrati nel film, però, lo porteranno a ribaltare il suo punto di vista, a comprendere come la violenza non possa che generarne altra e a pensare una via per ottenere un risultato diverso. Un briciolo di speranza c'è, dopotutto.
Sceneggiatura e regia sono di Rian Johnson, che ha esordito con il non riuscitissimo Brick, sempre con Gordon-Levitt come protagonista, e che qui è al suo primo blockbuster.
Oltre ai succitati attori principali, da notare la partecipazione di Jeff Daniels nel ruolo del boss mafioso, e Paul Dano, amico di Joe-giovane, e destinato ad una spiacevole uscita di scena.
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