The walk

Adattamento di Robert Zemeckis della biografia di Philippe Petit, centrata sulla quella che è forse la sua esibizione più famosa, ovvero la passeggiata su di un cavo teso alla sommità delle torri gemelle a New York.

Chi fosse interessato ad una narrazione più aderente ai fatti dovrebbe leggere il libro dello stesso Petit, che è alla base delle sceneggiatura, o magari il documentario di James Marsh se interessati solo all'evento clou. Qui siamo nel regno dell'intrattenimento, e ogni licenza è lecita per ottenere lo scopo di Zemeckis. Anche se devo ammettere non mi sia chiarissimo quale sia. A tratti mi è sembrato evidente che Zemeckis voglia tirare un parallelo tra la carriera di Petit e la sua. Le capacità fisiche di illusionista-fantasista-giocoliere-acrobata del francese si rispecchiano in quelle virtuali dell'americano che, come suo solito, mi lascia a bocca aperta con i suoi piani sequenza impossibili e gli effetti speciali che sembrano più veri del vero. Il finale però non mi quadra, quasi che Zemeckis non abbia saputo come trovare una chiusa decente al racconto.

La storia è narrata in un lungo flash-back dallo stesso Petit (Joseph Gordon-Levitt) che ci porta per mano per la sua vita facendoci assistere alle sue esibizioni parigine come artista di strada, fino al momento in cui, letto casualmente un articolo sulla costruzione dei due grattacieli, abbia deciso di consacrare la sua vita all'impresa di cui sopra. Per far ciò, deve compiere una serie di passi preparatori, il primo del quale consiste nell'inghiottire il suo orgoglio da ribelle e convincere Papa Rudy (Ben Kingsley) a rivelargli i segreti del mestiere.

Questa prima parte è narrata con toni favolistici alla Amélie Poulain/Hugo Cabret che, pur facendo probabilmente poca giustizia alla realtà dei fatti, mi hanno molto divertito.

Stacco deciso, si passa l'Oceano e il film diventa un heist movie, sempre molto divertito, una cosa tipo Ocean's eleven, ma un pochino meno divertente. Petit, con la sua strana banda di accoliti franco-americani che ha raccolto sul suo percorso, parte all'azione. Con gran difficoltà prepara il cavo e, nonostante la canonica serie di traversie, riesce nell'impresa.

Curiosamente la passeggiata, che dovrebbe essere la parte mozzafiato del racconto, non mi ha convinto. Non dico mi abbia annoiato, ma non ci ho trovato un gran interesse. Forse l'avrei apprezzata di più se fosse stata narrata in modo diverso, se invece di seguire gli aspetti esteriori, fosse stata utilizzata per farci capire qualcosa di più di Petit, se fosse arrivata la risposta alla domanda iniziale, "perché?", che invece resta appesa al filo.

Peggio ancora il finale, che mi ha proprio rattristato. Zemeckis ci fa raccontare dal suo Petit che, dopo aver fatto questa traversata nel vuoto, fondamentalmente si è ritrovato lui stesso vuoto. Resta a New York, lascia andar via la donna che l'ha seguito e incoraggiato (Charlotte Le Bon), senza che si spieghi neanche bene il perché, e sembra che non faccia più nulla, se non baloccarsi col ricordo di quella camminata.

Non è che io riesca a immaginarmi un finale migliore di questa storia. Petit che fa altre sue folli camminate clandestine? Bah, non aggiunge molto. Ho avuto un flash mentre seguivo con poca gioia Petit che andava avanti e indietro sul filo, non potendo scendere senza consegnarsi alla polizia. Mi è venuto in mente Miracolo a Milano (1951) e, per un secondo, mi sono visto Petit fare un inchino salutare tutti quanti e volarsene via in cielo. Ma sarebbe davvero stato un altro film.

4 commenti:

  1. Io ho adorato questo film. Anche il finale secondo me era valido, faceva ritornare umano il personaggio che ci aveva presentato fino ad allora in modo favolistico, perchè aveva un sogno.
    Poi anche la passeggiata mi colpì, al cinema faceva il suo effetto!

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    1. Ah, certo, la passeggiata, tecnicamente, è da mozzare il fiato. Anche se sappiamo già che evidentemente Petit non cade, visto che ce la sta narrando in flashback. Però dopo un po' la spettacolarità delle immagini a me ha lasciato spazio ad un "vabbè, passiamo oltre". E il brutto è che oltre, non c'era più niente. Per questo per un attimo ho sognato un finale zavattiniano, per quanto impossibile in questo film.
      Non concordo che nel finale Petit ritorni umano. Nel finale è sconfitto dalla sua vittoria. L'aver raggiunto il suo sogno gli ha tolto altri sogni. Grazie al cielo, noi umani siamo fatti in un altro modo. A meno che decidiamo di chiudere la porta all'avventura. Il vero Petit non l'ha chiusa. E non capisco bene perché Zemeckis l'abbia fatta chiudere al suo.

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    2. é che quel finale l'ho interpretato diversamente, lui non abbandona i suoi sogni, abbandona i suoi complici. Ma sai cosa, me lo vado a rivedere che non me lo ricordo bene ;-)

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    3. Boh, resta lì, a New York, non ci viene detto che fa altro, se non andare di tanto in tanto a guardare il vuoto tra le due torri e ad esibirsi al Central Park, come pena per la sua infrazione. Magari m'è sfuggito qualcosa, ma non credo. Aspetto la tua seconda visione e controdeduzioni ;-)

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