Una noia fenomenale, verrebbe da dire. Se non fosse che i dieci minuti finali sono a dir poco fantastici sia dal punto di vista emotivo sia tecnico - dominati come sono da una lunghissima sequenza dove la cinepresa, pur muovendosi con una lentezza inizialmente quasi esasperante, piroetta in modo improbabile da una stanza d'albergo alla piazza antistante per poi tornare, dopo aver seguito l'azione sullo spazio pubblico, nel privato della stanza.
La lentezza dell'azione nel paio d'ore del film si spiega con il fatto che, perdinci, è funzionale ai temi narrati. La difficoltà di comunicare, di relazionarsi, i dubbi sull'identità, tutta roba che difficilmente si riesce a rendere in un film dai ritmi più sbarazzini. C'è anche da dire che nel secolo scorso ci si poteva aspettare che il pubblico più avveduto reggesse comunque ad una simile gestione dei tempi. Oggi un po' meno.
Chissà, forse potrebbe aiutare vederlo un paio di volte. La prima un po' distrattamente, lasciando correre la pellicola in background fino a che arriva il gran finale. Del resto ci sono tanti elementi che cercano di spiazzarci. Tanto per dirne una, la scena iniziale è girata con taglio documentaristico - e fa temere per il peggio. Poi la camera si stabilizza, ma l'azione viene spesso interrotta da flash back o da proiezioni di interviste effettuate dal protagonista, il reporter, che poi è Jack Nicholson. I grandi silenzi uno se li dovrebbe aspettare, conoscendo Michelangelo Antonioni, anche se spesso si tratta di silenzi per modo di dire dato che il rumore di fondo è spesso molto alto. C'è poi il fatto che la protagonista femminile, Maria Schneider (visione dedicata a lei, riposi finalmente in pace) appare per un secondo a Londra nella prima ora del film, per poi riapparire senza alcun legame logico a Barcellona, fra l'altro negando che era lei quella che abbiamo visto.
Da notare che il titolo inglese, The passenger, è stato scelto da Antonioni, a creare un ulteriore elemento destabilizzante, immagino. Non sappiamo chi sia il passeggero (o la passeggera) del titolo. Verrebbe da dire la Schneider, che pure non è, a vedere il minutaggio, il personaggio principale - forse avrebbe senso guardare il film dal suo punto di vista, di studentessa (?) francese in visita in Spagna che incappa in un tipo bizzarro di cui forse si è innamorata ma che non può dire chi davvero sia. O se è Nicholson il passeggero, si potrebbe arguire che è un passeggero nella vita, perché finisce per lasciarsi portare al tragico epilogo, senza poi prendere particolari decisioni. Si lascia affascinare dalle coincidenze, come accenna a un certo punto il personaggio.
La storia sarebbe quella di un reporter di origine inglese ma formazione americana, Nicholson per l'appunto, che in Africa ha l'opportunità di scambiare identità con un tale morto per cause naturali e a lui vagamente simile. Lo fa per noia, voglia di cambiar vita o, come si suol dire, crisi della mezza età. Per noia finisce per seguire quella che era la vita del suo doppio, che si scopre essere un mercante d'armi. Finisce a Barcellona, per caso entra in una casa di Gaudì e incontra la Schneider, che aveva visto, o credeva di averla vista, quando aveva fatto un salto a Londra già con la nuova identità, per tirar su qualche soldo. Gente legata al mercante d'armi non è particolarmente contenta di lui, lo scova e lo elimina.
Nella scena finale, la polizia arriva che lui è stato appena freddato, presenti la moglie inglese e la Schneider. Curiosamente la moglie nega di riconoscimento. Se mente non si capisce perché, visto che ha mosso mari e monti per ritrovarlo. Se non mente, tutto quello che abbiamo visto non quadra. Ha mentito Nicholson per tutto il film? D'altronde il trafficante era sconosciuto a tutti e, fatto bizzarro, non vediamo in faccia il reporter morto alla fine del film. E' tutto un grande inganno? Quién sabe?
Nessun commento:
Posta un commento