Paradiso amaro

Titolo non estasiante, a me più che altro fa venire in mente l'aranciata amara, imposto dalla distribuzione italiana a rimpiazzo dell'originale The descendants, i discendenti, evidentemente non considerato abbastanza sexy.

Ripescato in questo weekend grazie al suo Oscar per la sceneggiatura non originale (al regista e coproduttore Alexander Payne, più altri) che gli è valso un supplemento di uscita nei cinema. Oltre a Payne, l'altro nome che conta in questo progetto è George Clooney, protagonista e perno dell'intricata vicenda. Il resto del cast non ha molta rilevanza, spicca Beau Bridges, fratellone di Jeff, e anche lui con un certo sguardo da dude, ma mi pare sia usato al meglio da Payne nello sviluppo della trama.

Interessante l'ambientazione alle Hawaii di tutti i giorni, con qualche capatina veloce in luoghi più all'altezza della fama vacanziera, che sembra una qualunque provincia americana, a parte i tratti somatici prevalenti nella popolazione, ma graziata da un clima particolarmente gradevole.

Il protagonista è colto in un momento cruciale della sua esistenza, e dovrà prendere alcune decisioni fondamentali nel giro delle due ore del film (alcuni giorni di tempo reale). La moglie è in coma a causa di un incidente nautico, procuratosi grazie ad una lunga serie di attività spericolate, le due figlie sono allo sbando, deve decidere la sorte del fondo di cui lui è garante e che possiede una fetta di natura incontaminata nell'arcipelago, e dunque ambita dalla speculazione. Come se non bastasse scopre che la moglie, che trascurava ma di cui era innamorato, lo cornificava con gusto con un venditore di appartamenti (vedi American beauty per un idea del personaggio nell'immaginario collettivo).

Payne gestisce al meglio la situazione, fornendoci un quadro in cui non ci sono situazioni in bianco e nero, ma è invece ricco di sfumature. Bello il personaggio di Clooney, ha pregi e difetti, si rende conto degli errori che ha fatto e, sia pure in un modo un po' pasticciato, riesce alla fine a prendere delle decisioni difficili che, se non faranno felici tutti, sembra che almeno portino un buon equilibrio nel finale.

Notevole che quasi tutti i comprimari abbiano modo, pur nel poco tempo a disposizione, di mostrare la complessità del loro carattere. Non ci sono macchiette (mah, forse l'amico della moglie causa involontaria dell'incidente, ma è una apparizione minuscola, difficile approfondire in pochi secondi), magari bizzarri, come del resto bizzarra è la vita, ma comunque reali.

4 commenti:

  1. concordo, il titolo italiano fa passare la voglia
    meglio lasciare il titolo originale: suona bene e mette in luce l'aspetto "dinastico" dell'eredità della principessa hawaiana

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  2. Invece a me non dispiace il titolo italiano, ho letto ben di peggio, in fin dei conti per noi stare alle Hawaii è un po' come stare in Paradiso, solo che anche lì la vita ha i suoi aspetti negativo.

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  3. In effetti i titolisti italiani danno spesso il peggio di loro!

    Grazie mille per il commento, CIAO!!!

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  4. Vero che ci sono versioni italiane ben peggiori, vero anche che è discutibile se sia un titolo più azzeccato uno o l'altro. Nel caso particolare, a me non piace nessuno dei due, non mi pare che colgano il punto fondamentale della storia, e mirino entrambi ad un aspetto che mi pare secondario.

    A mio parere la chiave del film sta nel fatto che il protagonista riesca a trovare una soluzione adulta (e ben poco affascinante) ad un problema complesso, senza scaricare le colpe su altri, come sarebbe stato facile (quella donnaccia della moglie! quel balordo che l'ha circuita! quei venali dei cugini!). Dunque l'avrei chiamato Una sera con i pinguini - prendendo spunto dalla scena finale. Grazie al cielo non sono io a dare i titoli ai film :D

    Lasciando perdere quelle che sono le mie idee sui titoli, mi piacerebbe che, per quanto possibile, si lasciassero gli originali. Non sarebbe anche più semplice?

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