Dopo aver visto L'illusionista, ho pensato bene di andarmi a recuperare il primo lungometraggio scritto e diretto da Sylvain Chomet, Les Triplettes de Belleville, in inglese The Triplets of Belleville. In italiano il terzetto è inesplicabilmente diventato un appuntamento.
La storia è decisamente sorprendente e spiazzante, narrata con un tono realistico ma includendo dettagli impossibili, surreali, caricaturali. Inizia come un cartone animato anni trenta, un po' Betty Boop, un po' Walt Disney, che ha per protagonista un terzetto che a noi potrebbe ricordare il Trio Lescano, in cui succedono cose folli, tipo un clone di Fred Astaire mangiato vivo dalle sue scarpe. Scopriamo però che stiamo guardando la televisione, a casa di una vecchina e del suo nipotino. Il piccolo tende alla depressione, e lo si può ben capire, visto che tutto quello che gli resta dei genitori è una loro foto in bicicletta. La nonna prova a fargli passare la malinconia regalandogli un cagnolino - scarsi risultati - e poi, scoprendo la sua passione per il pedale, un triciclo.
Passano gli anni, la casetta che era nella campagna è stata fagocitata dalla periferia parigina. Il cagnolino è diventato un cagnone obeso, e il bimbo un giovanotto triste, vagamente somigliante a Fausto Coppi, del quale ha pure una foto con autografo, e che pedala incessantemente, sempre seguito dalla nonna in triciclo e fischietto. Le bizzarre sessioni di allenamento servono per prepararlo al Tour, a cui finalmente partecipa, sempre seguito dalla nonna manager e dal cane, combattendo per riuscire a terminare le tappe. Ma in una terribile salita succede l'incredibile, due individui molto preoccupanti (scopriremo trattasi di scagnozzi della mafia franco-americana) rapiscono lui e altri due ciclisti e li imbarcano su una assurda nave.
Può la nonna arrendersi alla scomparsa del nipote? Investe tutte le sue finanze (un franco) nel noleggio per mezz'ora di un pedalò (il noleggiatore resterà in attesa del suo ritorno per tutto il resto del film) e assieme al fedele segugio parte all'inseguimento che li porterà a Belleville, curiosa metropoli americana che pare una New York stravolta, descritta da uno che non l'abbia mai vista e sia dotato di molta fantasia. E qui l'intreccio si infittisce, il trio del titolo, ora molto invecchiato, rientra in azione, fa comunella con la nonna, che scopre che la french connection organizza un crudele (e folle) giro di scommesse clandestine sulla pelle dei ciclisti rapiti. Dopo rocamboleschi avvenimenti, si giunge alla resa dei conti, i cattivi vengono sconfitti, il bene vince.
Strani i punti di contatto di questo film con The artist, anche questo è francese, ambientato negli USA, quasi-muto, il personaggio principale maschile ha una sola battuta, che è l'ultima del film, e che fa pensare se non sia il caso di rivedere l'intera vicenda sotto un diverso punto di vista.
Simpatica la colonna sonora, che mescola allegramente jazz anni trenta, un po' di classica (Mozart e pochi secondi di Bach nell'esecuzione di Glenn Gould), e persino musica concreta. Le citazioni sono prevalentemente legate al mondo dell'animazione, ma c'è spazio anche per Jacques Tati, che viene anche citato esplicitamente quando il Trio di Belleville si mette a guardare il suo Giorno di festa (divertendosi molto).
La storia è vista prevalentemente dal punto di vista della nonna, ma ogni tanto prende il sopravvento il cane, di cui ci sono narrati anche gli incubi che mostrano un interessante spaccato sulla (immaginaria) psiche canina. Ma forse, come potrebbe suggerire il finale, è il nipote il protagonista, in quanto voce narrante. Anche se la vicenda narrata è così incongrua da far pensare che sia inventata. Potrebbe dunque trattarsi del ricordo distorto della sua gioventù ormai lontana, in cui brandelli di verità, il fedele cane, la nonna che per lui avrebbe attraversato l'oceano in pedalò, si mescolano con fantasie e invenzioni.
E' un film di una ricchezza incredibile, moltissime le scene che meriterebbero di essere ricordate. Il cane che ha un appuntamento fisso con i treni che passano sotto la finestra di casa, e interrompe qualunque cosa stia facendo per andare ad abbaiare al suo passaggio. Vediamo al rallentatore lo scambio di sguardi tra cane e un passeggero (molto canino), e più avanti nel film troveremo la rielaborazione dell'episodio in un sogno del cane. O anche la triste storia di una rana che, pescata da una del trio in un metodo molto poco ortodosso (lancia una bomba a mano, residuato bellico chissà come finito nelle loro mani, nello stagno a due passi dalla loro fatiscente abitazione), bollita con le sue compagne in un pentolone, sfuggita dal piatto, liberata dalla protagonista che la fa uscire dalla finestra, finisce sotto il treno un attimo dopo.
Nessun commento:
Posta un commento