Magnolia

Un paio di volte, forse tre, sono stato sul punto di mandare a quel paese Paul Thomas Anderson, responsabile assoluto del film in quanto l'ha scritto, prodotto e diretto, e mettermi a fare altro, invece che perder tempo dietro ad una vicenda che sembra intenzionalmente narrata con lo scopo di far scappare il pubblico.

I motivi per evitare questa visione sono ottimi e abbondanti. La lunghezza eccessiva, ad esempio. Tre ore in cui si seguono senza fretta, quasi in tempo reale, le vicende di un nugolo di personaggi che interagiscono debolmente da qualche parte in California. Detto così ricorda America oggi di Robert Altman - aggiungiamoci pure Julianne Moore che è presente in entrambe le pellicole, giusto per confondere ancor di più le acque. Però Altman, basandosi su scritti di Raymond Carver, ci propone un imponente affresco sull'umanità in crisi. Qui invece non capisco dove si vada a parare. Il caso come assurdo rimescolatore dei destini? O la negazione della casualità, cercando di estrapolare un senso dove sembrerebbe impossibile vederne uno?

La colonna sonora è molto bella, ma non mi è piaciuto il suo uso. Spesso sovrasta l'azione, creando una saturazione sensoriale (la macchina da presa si muove mostrando nuovi dettagli, i personaggi parlano sullo sfondo), evidentemente voluta dal regista ma anche qui non capisco bene a che scopo. Ci si vuole forse dire che, dopotutto, le vicende narrate non sono poi così importanti e di godersi piuttosto le immagini e la musica? E c'è bisogno di insistere per tre ore nel ripetere lo stesso concetto?

D'altro canto l'intreccio delle storie è interessante, la regia ha una sua notevole personalità, e il livello recitativo è notevole. Da cui il mio imbarazzo se dovessi consigliare o meno la visione a qualcun altro. Penso sarebbe opportuno vederselo un paio di volte - non di fila, non mi pare umano - e magari aiuterebbe sentirsi prima la colonna sonora, in modo da ridurre il sovraccarico in informazioni che ci vengono sparate nella visione.

La vicenda si svolge attorno a un telequiz che contrappone una squadra di adulti (tra i quali spicca Luis Guzman, con il suo faccione molto riconoscibile) e una di bambini, in onda da decenni.

Il produttore originale del programma (Jason Robards) sta morendo di cancro, accudito da un infermiere un po' bambinone ma dal buon cuore (Philip Seymour Hoffman) e dalla giovane seconda moglie (Julianne Moore). Il moribondo ha un figlio (Tom Cruise) avuto dalla prima moglie, a sua volta morta di cancro molti anni prima, dopo che il marito la aveva abbandonata. Costui ora insegna agli uomini a comportarsi da macho, in un poco chiaro tentativo di vendicarsi dell'abbandono paterno.

Il conduttore del programma (Philip Baker Hall) è ancora al lavoro, ma ha un cancro anche lui, anche se al momento lo sanno solo la moglie (Melinda Dillon) e pochi intimi. Cerca di dirlo alla figlia (Melora Walters), che però non vuole nemmeno ascoltarlo - lei sniffa quantità spropositate di cocaina, fa sesso casuale (forse a pagamento), e sembra avere forti motivi per rifiutare così decisamente il padre. In seguito al litigio, cerca di sfuggire alla depressione ascoltando musica a palla mentre si droga. Di conseguenza i vicini chiamano la polizia e arriva un poliziotto bonaccione (John C. Reilly) che non si accorge di quanto sia tossica la ragazza e si innamora istantaneamente di lei.

Un partecipante al programma di molti anni prima, in cui aveva vinto molti soldi, ora è un fallito (William H. Macy) che viene licenziato dal suo capo (Alfred Molina) per manifesta incapacità dopo lunghi anni di sopportazione. Costui è segretamente innamorato di un barista, e per lui si vuol mettere un apparecchio ai denti - pur non avendone bisogno, per pura emulazione - e dunque ha bisogno di soldi.

Un partecipante al programma di quel giorno è un bimbo in pratica costretto dal padre a studiare fatti strani e che si trova inscatolato in un ambiente in cui non sembra trovarsi molto a proprio agio.

2 commenti:

  1. Ho un bell'aneddoto su questo film non facile da vedere, ma sempre più semplice di un pò di film di Altman. Anderson ci mette la teoria del caso, con l'impossibile pioggia di rane del finale, però tutto viene superato dall'ultima buona interpretazione di Tom Cruise e dalla colonna sonora: mi sono innamorato di Aimee Mann, ma ci sono partiture veramente eccezionali anche per me.

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  2. Per quel che mi ricordo, Short cuts me lo son visto senza i problemi che mi ha dato Magnolia. Ma forse dovrei dargli una seconda visione prima di sbilanciarmi.

    Sì, Anderson mette al centro del film il caso. Ma che posizione sostiene? Lascia succedere fatti improbabili con una frequenza sospetta (per definizione un fatto improbabile dovrebbe essere, beh, poco probabile) e ogni tanto ci mette qualche sospetto di oscuro finalismo che noi non riusciamo a decifrare.

    Vedi l'introduzione, dove vengono presentati tre casi da leggenda metropolitana e alla fine il narratore ci chiede come è possibile credere che sia tutto un caso. O anche il finale, dove la pioggia di rane (che tra l'altro dovrebbe essere una citazione biblica) finisce per fare da strano deus ex-machina, sventando il tentato suicidio del presentatore televisivo (che comunque morirà presto di cancro), strappando finalmente una risata a sua figlia, eccetera.

    Anderson crede in una buffa Provvidenza manzoniana che si manifesta facendo piovere rane o ci vuol dire che viviamo in un mondo dove l'improbabile è la normalità?

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