Tutto sommato a me i fratelli Manetti stanno simpatici. E penso che, se volessero, potrebbero anche diventare dei registi interessanti. Però, almeno fino a ieri, i loro risultati non sono all'altezza delle (mie) aspettative.
Gegio ha recentemente visto il loro Piano 17, e mi pare gli sia piaciucchiato, nonostante un certo manierismo tarantiniano, stessa impressione che avevo avuto io vedendo un loro episodio della serie televisiva sull'ispettore Coliandro.
Qui niente tarantinismo, ma una certa aria familiare di cinema di serie B italiano anni settanta. L'ho visto dopo averne letto sull'Anna Nihil show, e avendo scoperto che è disponibile una copia su youtube. Non è stata una buona idea, l'audio è leggermente fuori sincrono, e la qualità video è quella che è. Ma non trovato in commercio il DVD, e in sala direi che sia impossibile vederlo.
Per i motivi suddetti, non mi sbilancio sul risultato tecnico, a parte notare che l'effetto speciale principe del film, che sarebbe il Wang del titolo, non mi ha fatto fare i salti di gioia.
Bravo Ennio Fantastichini, sempre a suo agio nel recitare personaggi ruvidi, contrapposto a Francesca Cuttica. Parte minore per Juliet Esey Joseph, di casa nelle produzioni Manetti.
L'idea della sceneggiatura non è male, un alieno (extraterrestre) arriva a Roma. Per un clamoroso equivoco l'unica lingua terrestre che parla è il cinese. Fantastichini lo interroga, e la Cuttica fa da interprete. Non si capisce (o almeno, non si dovrebbe capire) se ha ragione l'interrogante a ritenere l'interrogato pericoloso, o quest'ultimo a dichiararsi amichevole e ingiustamente sospettato. Gli ultimi minuti risolveranno il dilemma.
I problemi, però, sono molteplici. In primo luogo la sceneggiatura è scritta male (sempre dai Manetti), piena di buchi, situazioni improbabili, e dialoghi sonnolenti, tutte cose che complicano la vita ai protagonisti, soprattutto alla povera Cuttica, che ha meno mestiere. In certe scene mi sono immaginato Laura Morante al suo posto, che penso avrebbe sfruttato meglio la situazione. Eppoi la sorpresa del finale è decisamente modesta. Che può succedere? O si sbaglia Fantastichini, e l'alieno è "buono", o si sbaglia la Cuttica, e l'alieno è "cattivo". Ci sarebbe voluto un Ennio Flaiano, che avrebbe certamente trovato una terza via spiazzante (vedi, per l'appunto, il suo racconto breve Un marziano a Roma, che fu anche adattato per il teatro).
Il fatto che l'alieno parli cinese, rende quasi obbligatoria l'interpretazione classica, da fantascienza americana post-bellica, in cui l'alieno rappresenta lo straniero. Ho il dubbio che ai Manetti la cosa sia passata sopra le orecchie, ma il testo resta ed ha un suo senso.
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