Anni venti a Parigi, un tale cerca di spiegare a tre tizi al bar che lui arriva dal 2010, e spende le sue giornate diviso tra queste due diverse epoche. I tre non capiscono cosa ci sia di strano. Bella forza, sono surrealisti. Tipica situazione alla Woody Allen, un po' come in Prendi i soldi e scappa l'ergastolano che non riusciva a scappare veniva messo in isolamento in compagnia di un assicuratore, per rendere la pena ancor più crudele. Si parte praticamente da cliché ben noti e li si stravolge aggiungendo situazioni di per sé normali ma completamente stranianti.
La nostalgia è il forte legame (non cercato) con Radio America di Altman, che ho appena visto, anche se lo sviluppo è decisamente diverso. Qui il vero motore dell'azione è l'insoddisfazione del protagonista (un sorprendente Owen Wilson - non eccezionale a dire il vero, ma ero prevenuto nei suoi confronti, e invece se la cava in maniera più che dignitosa, e la sua espressione di stupefatta incredulità di fronte a situazioni incredibilmente stupefacenti è perfetta, oltre che estremamente comica) che sarebbe sul punto di sposare una odiosa fidanzata (ma decisamente bellina - Rachel McAdams) con cui, quando ci pensa bene, scopre di avere ben poco in comune, se non un certo apprezzamento per la cucina indiana.
Lo troviamo dunque in crisi esistenziale/creativa (vorrebbe essere un autore letterario, ma ha invece intrapreso una carriera di sceneggiatore di successo a Hollywood) acuita dal fatto di trovarsi a Parigi, un ambiente che sprizza cultura da ogni angolo, soprattutto se paragonato alla California. A questo punto c'è un (giustamente) inesplicabile salto temporale, che possiamo vedere a nostra scelta come reale o immaginario, e che ricorda un po' l'espediente usato in Alice per rappresentare la crisi della protagonista, e che permette al protagonista di confrontarsi direttamente con il suo sogno, vivere nella Parigi degli anni 20, incontrando tra gli altri personaggi come Hemingway (Corey Stoll), Scott Fitzgerald (Tom Hiddleston), Picasso, Salvador Dalí (un brillante Adrien Brody, surreale al punto giusto), Gertrude Stein (Kathy Bates in ottima forma), Joséphine Baker, Cole Porter e confrontarsi con una sua sorta di alter ego femminile (Marion Cotillard) per cui si prenderà una mezza cotta.
Alla fine il protagonista dovrà prendere una serie di decisioni non da poco. Rinchiudersi in un paradiso artificiale o affrontare una quotidianità meno affascinante, ma reale? Seguire la comoda strada di un ricco ma infelice matrimonio o tentare la ventura seguendo la propria vocazione?
A ben vedere, si tratta di una ripresa del precedente Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni, ma qui i toni sono molto più allegri, ho riso, sorriso, mi sono lasciato coinvolgere dalla sorpresa di eventi irreali ma ben costruiti, dall'emozione ben raccontata dell'incontro con personaggi ormai mitici. Pensa, incontrare Luis Buñuel. E prendersi la soddisfazione di suggerirgli lo spunto per L'angelo sterminatore!
PS: link alle recensioni citate nel commento da il bibliofilo: Curzio Maltese, Alessandra Levantesi Kezich. Rispetto alla Kezich io contesterei il premio al miglior alter ego di Allen, che darei a Larry David (Basta che funzioni), ma in effetti mi sembra che se la sia cavata meglio di Jason Biggs (Anything else) o anche Kenneth Branagh (Celebrity). Mentre Maltese mi pare che abbia percepito più comicità di me, che ci ho visto anche un aspetto più... direi quasi esistenzialista, per restare in tema parigino.
bel film, anche se non condivido gli entusiasmi della Kezich e di Curzio Maltese
RispondiEliminaO. Wilson ha SEMPRE la stessa faccia (non ride mai, non piange mai...)
concordo sulla bravura di Brody e di Kathy Bates
Sarà forse perché da Wilson non mi aspettavo niente di buono, ma sono rimasto piacevolmente sorpreso dal suo lavoro. E pensare alla faccia stralunata che fa quando si rende conto della situazione mi fa ridere ancora adesso.
RispondiEliminaIeri ho visto anch'io Midnight in Paris. Mi ha piacevolmente stupita e l'ho trovato a suo modo emozionante!
RispondiEliminaConcordo con il bibliofilo sulla -poca- espressività di Owen Wilson, l'ho trovato insopportabile, forse più di Carla Bruni!
Mah, c'è da dire che se non ride e non piange è perché la sceneggiatura non prevede risate o lacrime. Immagino che si possa dire che è stato abile il regista/sceneggiatore a non chiedere al protagonista più di quello che poteva dare :D
RispondiEliminaNon capisco tutto questo parlare di Carla Bruni che ha una particina minuscola e ben poco significativa. OK, è la moglie di Sarko, ma nel contesto del film non mi pare rilevante.
Anch'io mi sono sorpreso ad emozionarmi di riflesso all'emozione del protagonista nell'incontrare cotanti personaggi. Non è una cosa che mi sia capitata spesso nel vedere un film.
Tocca vederlo al più presto. Mai nei miei feed si sono raccolte tante recensioni dello stesso film, sostanzialmente positive peraltro.
RispondiEliminaWoody prende sempre attori famosi poco prima del periodo di uscita del film. Owen mi pare abbia una storia diversa, mi pare abbia avuto dei problemi che hanno impressionato il regista, che non ha voluto impegnarlo più di tanto.
A dire il vero non seguo molto i fatti personali degli attori, mi pare di aver letto in un blog (cannibale?) che Wilson sia uscito male da una love story. Tutta la mia solidarietà, ma fuori dal film. Anche se magari la cosa gli è servita per cambiare approccio alla vita, e dunque anche alla recitazione.
RispondiEliminaPer quel che riguarda il film, beh, se esistesse davvero un complotto per avvantaggiare i film di Woody Allen, io dovrei farne parte. Almeno honoris causa.