Mezzo secolo ma non lo dimostra. Prodotto, co-scritto e diretto, con una asciuttezza da manuale, da Billy Wilder, narra di Chuck, un giornalista (Kirk Douglas, in una delle sue molte eccellenti interpretazioni) di belle speranze ma scarsi risultati.
Se non fosse che i titoli di testa corrano su una musica dalle tonalità decisamente drammatiche, le prime scene farebbero pensare che si tratti di una commedia. Chuck fa il suo trionfale ingresso ad Albuquerque, New Mexico su un'auto guasta trainata dal carro attrezzi. Si fa scaricare al giornale di città, e racconta la sua storia al direttore. È un newyorkese che ha lavorato in tutte le principali metropoli dell'Est. Scacciato per il suo comportamento dissoluto, cerca l'occasione giusta per tornare in pista. Nella sede di quel giornale fanno bella mostra di sé copie di un quadretto all'uncinetto che avvertono "Dì la verità", ma non sembra che su di lui abbiano un gran effetto.
Purtroppo per Chuck, Albuquerque non è città che offre molte possibilità di farsi notare per un giornalista, e quello che nelle sue idee avrebbe dovuto essere una breve parentesi nella sua carriera si protrae per un anno intero. Finché un giorno si imbatte nel curioso caso di un disgraziato che, cercando argento nelle viscere di una montagna sacra agli indiani, dal nome evocativo di Sette Avvoltoi, finisce mezzo schiacciato da una trave. Sarebbe relativamente semplice tirarlo fuori, ma così non farebbe abbastanza notizia. E, anche se Chuck afferma di non far succedere cose, ma solo di scriverne, finisce per aggiustare la realtà in modo che si adatti a quelli che sono i suoi interessi.
Del resto vediamo che non è solo lui a preferire che le cose vadano per le lunghe. Alla moglie del povero diavolo (Jan Sterling) poco importa della salute del marito, e visto che hanno un piccolo ristorante con stazione di servizio, usa la tragedia per fare soldi sui curiosi che vengono a sbirciare. Lo sceriffo locale approfitta della vicenda per farsi pubblicità, in vista delle prossime elezioni. La stampa monta il caso e si costruisce una sorta di disneyland attorno alle operazioni di soccorso.
C'è qualche piccolo segnale di resistenza a questo squallore, ma è davvero poca roba. Solo nel finale Chuck si rende conto di aver sbagliato tutto nella sua vita, aver voluto correre ma senza chiedersi in che direzione stava andando (come gli fa notare il direttore del giornale locale). Non c'è un vero e proprio lieto fine, se non questa presa di coscienza.
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