Un modo per affrontare le proprie paure è quello di ingigantirle, distorcerle, osservarle da angolazioni strane, al punto di renderle ridicole, così da farci scaricare la tensione con una bella risata. In questo senso, Stardust memories potrebbe anche essere considerato un film autobiografico.
Sandy Bates è un alter ego di Woody Allen (che ha ovviamente anche scritto e diretto il film) che si trova in un periodo di grossa crisi. Vorrebbe essere un autore all'europea, ma il film che ha realizzato è, ad essere gentili, molto inferiore ai suoi modelli. Il finale, in particolare, sembra senza capo né coda, e tutti cercano di convincerlo a cambiarlo. Inoltre, è un film serio (o almeno, vorrebbe esserlo), ma stampa, fan, produttori, hanno catalogato Bates come comico e si aspettano da lui la continua ripetizione del modello originale ("Amo il tuo lavoro, soprattutto i primi film", è il ritornello costante). Sul lato sentimentale, vorrebbe avere una relazione stabile, ma l'amore della sua vita (Charlotte Rampling) l'ha mollato, e lui è combattuto tra impegnarsi con una donna che sembra emotivamente stabile (Marie-Christine Barrault) o una affascinante pazzerella (Jessica Harper). La crisi verrà risolta nel finale da un colpo di genio che riuscirà a far quadrare il cerchio. Forse.
Anche solo nel mio debole riassuntino, il lettore più avveduto avrà ritrovato una somiglianza non marginale con 8½ di Federico Fellini. Ma c'è pure Ingemar Bergman che occhiegga burbero nella sequenza iniziale, un sogno che ha in sottofondo un inquietante ticchettio di un orologio che non promette niente di buono, e lascia pure un piccolo spazio al debutto sullo schermo di Sharon Stone (è la bella donna che viaggia sull'altro treno, quello allegro, e manda un bacio a Bates), e pure nel montaggio spezzato in una scena con la Rampling in primo piano. Sarei più cauto nell'attribuzione di altri spunti, forse Luis Buñuel per gli alto-borghesi che camminano incongruamente in una discarica, Pier Paolo Pasolini, e il neorealismo italiano (Pietro Germi?). Citazione invece esplicita per Ladri di biciclette di Vittorio De Sica.
Il sovraccarico citazionista potrebbe rendere la prima parte poco scorrevole. Consiglio comunque lo spettatore di non farsi prendere dall'impazienza, che il finale (potrebbe) ripagarlo adeguatamente. In particolare mi pare imperdibile la scena da cui il film prende il titolo. Bates indugia su un suo ricordo, uno di quelli che definiscono una vita. Stava mangiando un budino, un giorno di primavera, con un disco in sottofondo. Lei (nel senso della Rampling) era di fronte a lui e leggeva il giornale. Non succede molto altro, il disco è Stardust, nell'esecuzione di Louis Armstrong, lei continua a sfogliare distrattamente il giornale, ma ricambia lo sguardo (ovvero, guarda in camera). E sorride.
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