Viva la libertà

In una democrazia la mediocrità della politica non può che essere frutto della mediocrità dell'elettorato. E come può la cinematografia italiana produrre i capolavori del passato, se il pubblico non c'è?

Prendiamo ad esempio questo film di Roberto Andò. Pioggia di nomination ai David, vinti dalla sceneggiatura (premiata anche col nastro d'argento) e da Valerio Mastrandrea (anche se non è una delle sue cose migliori), senza contare il nastro d'argento speciale a Toni Servillo.

Incasso totale nei cinema italiani, un paio di milioni. Nel weekend di uscita ha tirato su meno di un decimo de Il principe abusivo, uscito nelle stesse date, e che strappò la prima posizione.

Per come la penso io, la soluzione è quella prospettata, ad esempio, da La migliore offerta di Tornatore. Mantenere l'anima italiana, ma pensare la produzione per una distribuzione all'estero, facendo ricorso ad importanti attori stranieri per le parti principali. E' un peccato per i nostri attori, che si vedono ridurre ulteriormente le possibilità di trovare parti recenti, ma temo che anche loro si debbano attrezzare di conseguenza, e proporsi più aggressivamente sul mercato internazionale.

Per Viva la libertà si è puntato invece su un budget limitato (5 milioni), il che credo abbia causato il difetto principale del film. In più di una occasione i soldi mancano, e si vede. Aggiungerei pure che Andò è più bravo nella scrittura che nella direzione, e se questo non è un problema nel caso di Servillo, le parti minori avrebbero forse reso meglio sotto una mano più ferma.

Si narra di due fratelli gemelli (Servillo) che non si vedono da un quarto di secolo. Uno cinefilo, l'altro filosofo, il primo passa alla politica, il secondo (credo) resta fedele alla sua passione. Entrambi entrano in depressione, meno grave per il primo, il secondo finisce invece in una casa di cura.

All'inizio del film il politico è a capo del principale partito d'opposizione (una specie di PD) in crisi di consensi e allo sbando ideologico. Non vedendo una via d'uscita, il nostro uomo ne prende una di fuga, e scappa in segreto a Parigi, da una antica amante (Valeria Bruni Tedeschi) ora sposata ad un noto regista (Eric Nguyen). Il suo assistente (Mastrandrea), con la complicità della moglie del fuggiasco, lo rimpiazza col fratello gemello, che ha terminato la cura, ma a cui è rimasta una visione distaccata delle cose del mondo.

L'improvviso cambiamento fa bene ad entrambi i fratelli, il politico ha modo di riconciliarsi con tutto quello a cui aveva dovuto rinunciare, il filosofo ha modo di dire quello che pensa e che nessuno aveva voglia di ascoltare. Come piacevole effetto collaterale, nella politica italiana arriva una fresca ventata di rinnovamento.

Finale enigmatico, aperto all'interpretazione dello spettatore.

Bella la colonna sonora di Marco Betta (a cui è però lasciato poco spazio), integrata con un po' di classica, in particolare con un efficace citazione ripetuta da La forza del destino di Giuseppe Verdi, che il fratello filosofo canticchia a più riprese (anche sui titoli di coda).

2 commenti:

  1. Riguardo al film non mi pronuncio, non avendolo visto, ma purtroppo penso che i prolbemi del cinema italiano siano altri rispetto alla mediocrità del pubblico: ad esemio, scarsa o nulla distribuzione (quanti film di questo tipo rimangono in sala un solo week end, non dando nemmeno il tempo di farsi conoscere, eventualmente?), pchissima pubblicità...

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    1. Astutamente ho sparato la mia filippica su un titolo che mi dà ragione. In altri casi potresti avere ragione tu.

      Viva la libertà è rimasto in cartellone molte settimane, appunto perché il passaparola gli ha permesso di mantenere a lungo un buon numero di spettatori per sala. Uscito il 14 febbraio, il 21 aprile era ancora tra i primi venti incassi del weekend (molto in basso).

      Però la prima domenica per ogni spettatore che lo ha scelto, ce ne sono stati dieci che hanno scelto un altro titolo, anch'esso italiano tra l'altro, di una qualità che temo sia molto inferiore.

      Ma come si può biasimare chi ha prodotto Il principe abusivo? Anche se si lavora senza badare agli incassi, non si può fare a meno di produrre pellicole che piacciono al pubblico. Altrimenti è solo questione di tempo, e si è costretti a chiudere.

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