"Chi più di me?", soleva chiedersi (e chiederci) un mio amico che riteneva aver subito una tal cosmica ingiustizia da renderlo unico al mondo. In realtà era stato semplicemente mollato da quella che lui riteneva essere la sua metà mancante di platonica memoria. Esperienza estremamente dolorosa, non c'è che dire, ma che buona parte dell'umanità ha avuto modo di sperimentare. Sarebbe stato inutile, ma gli si sarebbe potuto rispondere Christy Brown, personaggio di cui il film in questione racconta la storia.
Il povero diavolo nacque negli anni trenta in un sobborgo di Dublino con una paralisi cerebrale. Senza andar troppo per il sottile, i medici pensavano che l'attività mentale di Christy fosse completamente compromessa e non lasciarono alcuna speranza ai genitori, i quali però decisero di non rinchiuderlo in un istituto ma di portarlo comunque a casa. Fatto è che Christy capiva, solo che non riusciva ad esprimersi, sia perché l'unico arto che riusciva a comandare era il suo piede sinistro, sia perché nessuno si era sognato di insegnargli alcunché, ritenendola fatica sprecata.
Capita quindi che una sua eroica ricerca di aiuto per la madre in pericolo non venga compresa (la madre si salverà, ma penseranno che sia stato per puro caso), e le sue capacità matematiche non vengano comprese.
Con grandissima pazienza, e grazie anche a qualche incontro fortunato, Christy riesce a trovare una sua via, prima nella pittura, e poi nella scrittura. Il film, che è raccontato tutto in flash-back, si concluderà con il suo incontro che una donna che finirà per sposare. Ci sarebbe da aggiungere che il matrimonio non durerà moltissimo, causa morte prematura di lui, ma si può capire come gli sceneggiatori (Shane Connaughton e Jim Sheridan, che ha anche curato la regia) abbiano preferito glissare sul finale.
Storia ad alto tenore emotivo, non gestita al meglio da Sheridan, che era al suo primo lavoro, ma che può contare sulla superba interpretazione dei due protagonisti, Brenda Fricker nel ruolo della madre e soprattutto Daniel Day-Lewis alla sua definitiva consacrazione come grande attore, entrambi premiati con l'Oscar.
Colonna sonora non particolarmente interessante, nonostante sia firmata da Elmer Bernstein, ma rallegrata da pezzi di repertorio, in particolare da una esecuzione solo strumentale per il lied Die Forelle di Schubert (brano molto usato, vedi anche il secondo episodio dello Sherlock Holmes di Guy Ritchy), a sottolineare proprio un tentativo di "pesca" da parte del protagonista.
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