Suffragette

Il movimento per il diritto al voto femminile non è mai stato preso troppo sul serio. Si pensi anche solo il nome con cui è stato etichettato sin dalla sua origine. Suffragette, ridicolizzando quella che a molti sembrava una richiesta assurda. E anche dopo che il risultato minimo era stato ottenuto, all'immagine delle donne inglesi che si battevano per il riconoscimento di un diritto elementare è stata riservata una visione paternalmente divertita. Vedasi Lady Agatha d'Ascoyne in Sangue blu (1949) e la signora Banks in Mary Poppins (1964).

Con qualche anno di ritardo siamo finalmente giunti a riconsiderare quello che fu una serissima lotta di civiltà. L'episodio speciale della serie Sherlock, L'abominevole sposa, indaga bene sulla faccenda, anche se vedendola molto di sbieco, qui invece siamo vicini alla rievocazione storica, offrendo crudi dettagli che troppo spesso sono stati fatti passare in secondo piano.

Un secolo fa a Londra, se si era maschi e si disponeva di un buon gruzzolo la vita poteva essere piuttosto piacevole. Ma noi seguiamo la vicenda di Maud Watts (Carey Mulligan), che di mestiere fa la lavandaia, ha una ventina di anni ma sa di aver già passato il suo periodo migliore, e che la aspetta un rapido declino fisico, dovuto alle condizioni di lavoro. Non si può dire che questo le piaccia, ma è rassegnata al suo destino, come è rassegnata agli abusi del capo (Geoff Bell). Giò, perché, che alternative ci sono?

Dopotutto può anche considerarsi fortunata, è brava nel suo lavoro, e per questo il capo non è nemmeno troppo scortese nei suoi confronti, ha un buon marito (Ben Whishaw) e un bel bimbetto. Una serie di circostanze, tra cui l'incontro di alcune suffragette estremiste, inizia a fare venire dei dubbi. Forse c'è una alternativa, forse si può cambiare, forse il futuro sarà migliore, almeno per chi arriverà dopo. Succede così che Maud entra in una cellula clandestina capitanata da Edith Ellyn (Helena Bonham Carter), una farmacista che avrebbe ambito alla professione medica, e a fianco di Emily Davison (Natalie Press).

Vediamo di sfuggita Emmeline Pankhurst (Meryl Streep), l'esponente principale del movimento, che però ha una importanza solo simbolica in questa storia, limitando la sua presenza ad un discorso e, soprattutto, allo stimolo che dà alle suffragette.

Dall'altra parte della barricata vediamo l'ispettore Arthur Steed (Brendan Gleeson) che inizialmente tratta il caso con la freddezza che si addice al suo ruolo, ma poco alla volta si convince che c'è qualcosa che non quadra. E bisogna dire che, nonostante alla cabina di comando del film ci siano solo donne (*), gli uomini non fanno una figura eccessivamente brutta. A parte il capo di Maud, nessuno tra i personaggi principali sguazza nel proprio ruolo. Magari usano i vantaggi di essere nati maschi senza farsi troppe domande, ma sembrano anche loro più vittime della situazione che altro.

Durante la visione mi sono venuti in mente alcuni film di Michael Haneke, come Il nastro bianco. Anche qui c'è un problema di difficile soluzione. Usare la violenza per risolvere un torto è una pessima strategia, come ricorda anche l'ispettore Steed. D'altronde, cosa si può fare se chi ha il potere si rifiuta di discutere?

(*) Regia di Sarah Gavron, sceneggiatura di Abi Morgan, che curiosamente fa da connessione tra la Streep, protagonista di The iron lady, e Carey Mulligan, che era la sorella del protagonista in Shame. Entrambi film del 2011.

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