Shame

Che poi a ben vedere è la solita storia di un tossico newyorkese che scopre che la sua dipendenza gli ha mangiato la vita. Una sorta di Requiem for a dream, insomma.

Qui però saltiamo tutta la fase in cui il tossico è felice di farsi, e partiamo già dalla situazione in cui il soggetto (Michael Fassbender) è costretto ad assumere la sua dose semplicemente per tirare avanti. Inoltre la dipendenza non è da alcoolici (per quello vedi I giorni del vino e delle rose o Young adult) o cocaina (anche se vediamo una volta, quasi per inciso, che il protagonista se la spara su per il naso e dunque possiamo assumere che sia una cosa che fa spesso) ma da sesso.

'sto figaccione newyorkese (ma la sceneggiatura astutamente ci fa sapere che è nato in Irlanda, così da rendere credibile Fassbender anche a livello di pronuncia) consuma sesso come fosse una droga. Non farebbe fatica a procurarsi donne, data la presenza fisica, l'agiatezza economica derivantegli da un lavoro intenzionalmente indeterminato, e la capacità seduttiva. Ma tendenzialmente se ne frega. Se gli capita una occasione, la sfrutta, altrimenti rimedia in altro modo, con prostitute, pornografia di ogni genere, sesso virtuale su internet. Pur essendo evidentemente attratto dal sesso opposto, se la circostanza lo guida in quella direzione, gli va bene pure un incontro omosessuale.

Questo quadro desolante è perturbato da due donne, la sorella (Carey Mulligan) e una possibile relazione sentimentale (Nicole Beharie).

Anche la sorella ha notevoli problemi relazionali, si accenna che la loro infanzia deve essere stata terribile, ma ha preso una via diversa dal fratello. Lui toglie ogni sentimento dal sesso, riducendolo a mero esercizio fisico finalizzato alla produzione di endorfine, lei, invece, investe sentimentalmente in ogni incontro, ottenendo una serie infinita di delusioni. Lei gli piomba in casa, praticamente costringendolo ad ospitarla, e i due (ri)cominciano a beccarsi, come devono aver fatto per tutta la loro vita. Però quando in metropolita, aspettando il treno si guardano negli occhi e poi si abbracciano, si vede che si vogliono davvero bene.

L'altra "lei" è una collega, i due si danno appuntamento per una cena al ristorante, e passano una serata normale. Niente sesso, solo chiacchiere. Come persone normali. Evidentemente stanno bene assieme, potrebbe essere per lui il biglietto di uscita dalla dipendenza.

La scoperta che una vera relazione offre stimoli ben maggiori della pornografia, e la vergogna (shame) di essere casualmente visto dalla sorella mentre è dedito ai suoi trastulli, lo spingono (a) ad allontanare la sorella e (b) a distruggere la sua imponente raccolta di materiale di conforto per i momenti cupi.

Il giorno dopo porta la collega nel suo pied-à-terre e i due si danno da fare. Ma, orrore, lui scopre di non "funzionare". Il sesso reale non lo eccita più, la situazione non è tale da stimolarlo. Se ne dispera, ma non ha il coraggio di spiegare la situazione a lei, preferisce tornare a usare prostitute, e mettersi in situazioni sempre più pericolose, in una spirale evidentemente autodistruttiva. Ormai il sesso non solo non lo soddisfa, ma anzi, lo vediamo nel momento del coito ed è come vedere l'immagine della disperazione.

Il finale è ormai dietro l'angolo, potrebbe essere una tragedia, ma se avrà la forza di ammettere la sua debolezza, potrebbe ancora cavarsela.

Come il precedente Hunger, Steve McQueen (regia e sceneggiatura) punta quasi tutta la posta su Fassbender, affidandogli un ruolo impervio, che però questi interpreta in modo eccellente. Là il protagonista distruggeva scientemente il suo corpo, essendo quello l'unico modo rimastogli per proclamare la sua libertà, costretto com'era in un carcere di massima sicurezza. Qui avviene l'opposto. Avrebbe tutta la libertà immaginabile, bello, (sufficientemente) ricco, a New York. Ma non sa cosa farsene.

Bella la colonna sonora, e funzionale al carattere dei protagonisti. Include una struggente versione di New York, New York cantata dalla Mulligan, tanto Bach al piano (via Glenn Gould), una spruzzata di jazz (c'è anche My favorite things di Coltrane, quando arrivano nel club dove canta la sorella) e un po' di disco.

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