Le belve

Solita misteriosa traduzione del titolo, dall'originale Savages, che fa perdere un cambio di prospettiva che la protagonista narratrice (Blake Lively) compie nel finale, dopo che in tutto il film ognuno dà (non del tutto ingiustificatamente) del selvaggio all'altro, lei si appropria dell'aggettivazione, dandole un significato positivo, un po' alla Rousseau.

La sceneggiatura adatta il romanzo omonimo di Don Winslow, in un lavoro a tre che ha unito l'autore letterario, il regista (Oliver Stone, brillante), con Shane Salerno a far da mediatore. Il riferimento a Natural born killer (scritto da Tarantino, diretto da Stone) mi pare evidente, anche se non particolarmente enfatizzato, come pure quello a Traffic, versione Soderbergh. Credo che gli agganci siano stati utilizzati da Stone per tranquillizzare i produttori, che sono più a loro agio in queste condizioni. E questo spiegherebbe la partecipazione di John Travolta (poteva essere agevolmente sostituito da un altro attore con un cachet meno pesante), Salma Hayek e Benicio Del Toro (soprattutto il secondo bene in parte).

Speso gran parte del budget per il cast con i tre sopra citati, si è mirato al risparmio sul terzetto protagonista, oltre alla Lively, Taylor Kitsch (il brutale), e Aaron Taylor-Johnson (l'etereo). I due, dal carattere complementare, condividono la passione per la produzione e la commercializzazione della marijuana, oltre che per la gentil fanciulla.

Succede però che un cartello della droga messicano, guidato dalla Hayek che ha Del Toro come tirapiedi, si metta in mente di mangiarsi quel pesce piccolo ma redditizio, in modo da bilanciare problemi di liquidità causati dall'aggressività di un cartello concorrente (quello di El azul). Al centro delle danze si viene a trovare un agente della DEA (Travolta) che protegge o tradisce un po' tutti quanti, a seconda delle convenienze del momento.

Bella colonna sonora, basata su una collezione di successi musicali più o meno in tema, tra cui trova spazio anche uno stralcio dalla prima sinfonia di Brahms. Non poteva mancate Legalize it di Peter Tosh, ho notato inoltre Romance in Durango di Bob Dylan (più conosciuta da noi per la cover di Fabrizio De André, Avventura a Durango), una bizzarra versione di Psyco killer (l'originale è dei Talking heads) e, in limine, una versione malese di Here comes the sun (dell'indimenticabile George Harrison).

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