Molto meglio riuscito del precedente episodio, anche se il trucco su Jeremy Brett fa accapponare la pelle. La storia è piuttosto aderente all'originale, con piccoli cambiamenti che sembrano avere lo scopo di vedere se siamo stati attenti.
Un tal Victor Savage (Hugh Bonneville), nonostante la vita fortunata che include una bella villa, una rendita interessante, una moglie innamorata (Susannah Harker) e due bei bambini, sente che qualcosa gli manca. Vorrebbe essere un poeta ma proprio non ha l'ispirazione. Suo cugino, Culverton Smith (*), lo spinge ad una serie di comportamenti rischiosi che dovrebbero aiutarlo a trovare una vena, mentre in realtà sono un pretesto per portarlo ad una rapida fine.
La signora Savage subdora l'inghippo e cerca aiuto in Holmes ma, ohimè, è troppo tardi. Il diabolico piano del dottor Smith è già nella sua fase finale. Il dottor Watson (Edward Hardwicke), che è come sempre molto sensibile al fascino femminile, vorrebbe comunque aiutare la tapina, nonostante Holmes rimarchi che Smith è certamente colpevole, ma ha congegnato le cose in modo che nessuna giuria possa mai condannarlo. Però, sentendosi ancora in colpa per le botte che il suo amico ha preso nella puntata precedente, Holmes accompagna Watson ad un incontro tra Smith e la vedova Savage. E qui l'incredibile accade. Holmes si impietosisce alla sorte dei Savage e gioca una rischiosa carta, attirandosi l'ira del perfido Smith.
La scena finale, con la piccola Savage che, molto titubante, si avvicina al burbero Holmes per ringraziarlo, gli dà la manina, ottiene in cambio uno di quei folli e brevissimi sorrisetti che sono uno tra i tratti distintivi dello Sherlock secondo Brett, e tra il perplesso e il felice lo ricambia, basta da sola a giustificare la visione di questa puntata.
(*) Jonathan Hyde, che riesce benissimo nel ruolo di carogna, al punto che la sceneggiatura è stata adattata per permettegli di recitare in questa parte. Nell'originale il cattivo era lo zio.
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