I film di Aki Kaurismäki (con tanto di dieresi sull'ultima a) mi fanno lo stesso effetto che hanno i numeri delle barzellette sui galeotti di quella vecchia storiella ... come quale storiella? Questa:
Un ministro va in visita ad una prigione. Sta camminando con il direttore del carcere in un corridoio, quando sente un recluso esclamare "quarantadue". Tutti gli altri detenuti ridono fragorosamente, le guardie si trattengono a fatica. Fa altri quattro passi ma un "diciotto!" e risate omeriche lo bloccano. "Insomma, che succede qui?", chiede. "Vede, questo è il braccio degli ergastolani, le barzellette che girano qui ormai sono sempre quelle, al punto che basta dire il numero invece di raccontarla."
Decide di provare anche lui: "quarantadue". Silenzio. Le guardie fanno sorrisetti stiracchiati. "QUARANTADUE!" Sempre silenzio. Guarda inviperito il direttore e gli chiede perché nessuno rida. Quegli cincischia, ma alla fine cede: "Vede, è che lei non la sa raccontare bene."
Nei suoi film succede poco, ma in compenso il minutaggio è scarso. Non è raro che la macchina da presa indugi su un attore che non fa nulla, o su un dettaglio di poco conto. Però ogni tanto uno dice quarantadue (metaforicamente), e io rido. O mi commuovo, o mi partono dei pensieri. A seconda del numero.
Qui si narra di un lustrascarpe francese, ex bohemien/clochard parigino ritiratosi in provincia, che ha trovato conforto e un tetto grazie al buon cuore di una donnetta di cui sappiamo poco, se non che viene beccata da un tumore di quelli tosti e finisce in ospedale con poche prospettive di uscirne bene. Tutti sanno che la poverina è quasi spacciata, tranne lui, a cui viene nascosta la verità. Appena ricoverata la moglie, si imbatte in un ragazzino africano che sta cercando di raggiungere la madre a Londra. Per nessun motivo in particolare, la polizia lo cerca, e per passare la Manica servono tanti soldi.
L'atmosfera paesana da douce France mi ricorda quella dei film di Jacques Tati, con dialoghi sullo sfondo che riempono intere sequenze in cui succede poco altro. E anche macchine, vestiti, musica potrebbero essere stati presi da un suo film. Come se il tempo di fosse fermato nella Le Havre di Kaurismäki, e non dico il duemila, ma nemmeno gli anni settanta fossero arrivati.
Tra le bizzarrie del film, c'è anche un concerto di Little Bob, una specie di Little Tony d'oltralpe (e originario d'Italia), organizzato alla Blues Brothers per raccogliere i fondi mancanti. Fra l'altro, nonostante la decrepitezza di Little Bob e di buona parte della sua band, rispetto al resto del film sembrano moderni. In ogni caso c'è un impiccio, Bob lo farebbe, ma non è in vena, perché la sua donna l'ha lasciato per questioni arboricole.
Moltissime microstorie affollano la narrazione, per cui paradossalmente ci si metterebbe molto di più a raccontare questo film, in cui sembra che quasi nulla accada, che uno di quei blockbuster alla Battleship (tanto per sparare sulla crocerossa) in cui pare che accada di tutto ma invece non succede niente.
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