Grand Budapest Hotel

Hanno appena assegnato i David di Donatello. Il premio per il miglior film italiano è andato a Il capitale umano di Virzì, per il miglior film europeo Philomena di Frears, e per il resto del mondo, proprio questo film di Wes Anderson.

Che dire. Nella storia ha una parte piccola ma significativa il laboratorio del mastro pasticcere Mendl, per cui lavora la piccola Agatha (Saoirse Ronan). Una cosa che tutti i golosastri, prima o poi in vita loro (o meglio, nostra) si sono chiesti è come è possibile fare un lavoro del genere senza rischiare di mangiarsi fuori, letteralmente, tutto il prodotto finito. La risposta è in realtà molto semplice. Il nostro corpo è molto più astuto del nostro cervello, e ad un certo punto gli manda messaggi che si possono tradurre in un lapidario "adesso basta".

G.B.H. è un bel film, eh. Però mi sono sentito pericolosamente vicino a ricevere il segnale di stop dai miei sensi saturati dagli eccessi (prevalentemente visivi) tipicamente Wesandersoniani.

La vicenda è basata in uno Stato-burla mitteleuropeo, e ci viene raccontata di terza/quarta mano. Stiamo infatti seguendo la lettura del libro di una turista (?) che visita la tomba di Gustave H. (Ralph Fiennes) nel cimitero locale e intanto legge il libro che l'autore (Tom Wilkinson) ha scritto anni dopo che lui stesso, ma più giovane (Jude Law) aveva incontrato l'ormai anziano Moustafa Zero (F. Murray Abraham) che da giovane (Tony Revolori) era stato al sevizio di Gustave.

L'intreccio è di una complicazione tale che rinuncio a riassumerlo se non per dire che Gustave, che ha un debole per le donne anzianotte e danarose, entra negli impicci di un asse ereditario piuttosto turbolento a causa della morte di D. (Tilda Swinton), il cui figlio Dmitri (Adrien Brody), spalleggiato dal fido e mortale Jopling (Willem Dafoe), farà di tutto per semplificare a suo vantaggio il lavoro dell'esecutore testamentario (Jeff Goldblum). Alcuni dei personaggi citati sono facili da riconoscere, la Swinton è nascosta da un tale strato di trucco che mi sono fidato dei titoli di coda per abbinarla al ruolo. Altri attori il cui riconoscimento è lasciato come esercizio sono Mathieu Amalric, Harvey Keitel, Bill Murray e Owen Wilson.

Per restare in tema, la colonna sonora è di un irriconoscibile Alexandre Desplat che finge di essere un autore di musica schlager slavo-tedesca novecentesca. Se tal cosa esiste. Ma in realtà tutto esclama a gran voce la sua improbabilità, resa però con uno spiazzante iperrealismo.

Come riferimenti ho pensato al Grande dittatore di Charlie Chaplin, alle commedie sofisticate di Lubitsch, e dunque anche ad Essere o non essere di Mel Brooks (e già che ci siamo pure al suo Mistero delle dodici sedie).

4 commenti:

  1. concordo sui riferimenti a Lubitsch e alla Tomania di Chaplin; il personaggio di Henkels (Edward Norton) è ricalcato su quello di Schultz, il nazista "buono" a cui il barbiere ebreo aveva salvato la vita
    quando ci saranno le nominations per gli Oscar questo film ci sarà, ci scommetto

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    1. Cribbio, mi sono dimenticato del Norton! Colpa mia, non demerito suo, non ha avuto molto spazio (e ci credo, con una tal mole di stimati comprimari) ma lo ha sfruttato a dovere, come tutti quanti gli altri, del resto. Ora che me l'hai fatto notare, vedo quanto il parallelo con Schultz ci stia. Anche se il suo personaggio è molto meno sviluppato.
      Per gli Oscar, temo che il film non avrà molto spazio, almeno per i premi principali. La memoria dei votanti è breve, e difficilmente si vanno a pescarne uno uscito così tanti mesi prima.

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  2. In effetti è successo così anche al Grande Gatsby, che era uscito tra marzo e aprile. Però, in barba agli oscar, un capolavoro resta tale anche se non viene votato! Io l'ho adorato.

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    1. In effetti anch'io avevo pensato al Gatsby di Luhrmann. In realtà a me non è che abbia poi entusiasmato, ma ritengo anch'io che i premi non siano poi così importanti.

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