Primo film per il cinema di Michael Haneke, ma dopo quindici anni dal suo esordio registico per la televisione. Se ho capito bene quanto dice lo stesso Haneke nell'intervista fornita come extra del DVD (in francese sottotitolato inglese!), sarebbe stato un film per la TV anche questo, se i produttori non fossero rimasti poco soddisfatti della sceneggiatura, spingendolo a trovare vie alternative.
La storia, in effetti, non sembra fatta per attirare orde di spettatori. Nemmeno quelli di area tedesca, più avvezzi di noi mediterranei a programmi con un peso specifico non indifferente. Da notare che in Italia il film non ha trovato distribuzione cinematografica, e nemmeno televisiva, credo. Il DVD lo si trova grazie alle meraviglie del mercato comune europeo - nel mio caso, edizione inglese (The seventh continent, in originale Der siebente Kontinent).
Si parte da un fatto vero, una famigliola austriaca scopre di non sopportare più la quotidianità, e decide di migrare nel settimo continente, che però non è l'Australia, come lasciano credere a chi chiede loro come mai lascino i rispettivi lavori, vendano la macchina, eccetera.
Regia fredda, distaccata, che cerca, per quanto possibile, di non prendere posizioni sui fatti, lasciando le conclusioni allo spettatore.
Nella succitata intervista, Haneke fa notare come le scene che più hanno sconvolto il pubblico (a suo modo potrebbe essere catalogato come un film horror, un horror della quotidianità) sono quelle in cui il padre di famiglia distrugge a martellate l'acquario di casa, causando la morte dei pesci, e quella in cui gettano nel cesso (letteralmente) i loro risparmi. E sì che, a ben vedere, accadono cose ben peggiori.
Diviso in tre parti, richiede allo spettatore una buona dose di pazienza, soprattutto nella prima parte, che ci introduce nella vita monotona e ripetitiva della famiglia, usando inoltre l'interessante (ma barboso) espediente di non inquadrare gli umani, se non di sfuggita, e dedicare invece le inquadrature agli oggetti, che diventano protagonisti.
La seconda parte scorre meglio, sia perché le ripetizioni nei fatti narrati generano un curioso effetto ritmico (Haneke nota che il cinema, almeno il suo, ha molto più in comune con la musica che con la letteratura) sia perché viene dato più spazio agli umani.
La terza parte riserva mazzate (non solo metaforiche) non indifferenti.
Colonna sonora pop di consumo, che lascia spazio ad un solo momento alto, una scheggia dal concerto per violino e orchestra di Alban Berg, noto col nome di Alla memoria di un angelo, che dà un corposo indizio su cosa sta per succedere, in un momento in cui si poteva sperare che le cose potessero andare a finire in un modo meno terribile.
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