Ne La dea dell'amore, di dieci anni prima, Woody Allen modificava la sua tipica commedia newyorkese contrapponendole niente meno che la tragedia greca. Contrapposizione che si trasformava rapidamente in scambio di temi e persino di personaggi, che passavano tranquillamente dal teatro greco di Taormina alle vie di Manhattan e viceversa, per arrivare alla allegra fusione finale, con il coro greco che si trasforma in una coreografia che non stonerebbe in molti spettacoli a Broadway.
In Melinda e Melinda Allen fa qualcosa di simile e anche molto diverso. Usando uno schema che fa pensare al Decameron (o al Bar Sport), presenta una cornice in cui due registi (Wallace Shawn e Larry Pine), che direi proiezione delle due anime del cinema alleniano, che discutono su commedia e dramma, e la loro relazione sulla realtà in cui viviamo. Un terzo commensale propone ai due una storia reale e chiede ai due di leggerla a seconda del loro punto di vista. La vicenda di Melinda (Radha Mitchell) parte dunque dagli stessi presupposti, ma si sviluppa diversamente, con piccoli punti di contatto.
La struttura fa pensare allo Sliding doors di Peter Howitt e ai due film Smoking - No smoking di Alain Resnais. Ma invece di analizzare quanto il caso possa influire sulle vicende umane, basta perdere un treno del metrò, o decidere se fumarsi o no una sigaretta, per innescare una serie completamente di eventi, la prospettiva qui è quella di ragionare sul punto di vista del narratore, e quale, tra commedia e dramma, sia da preferire. Ovviamente il finale è aperto, lasciando l'ultima parola allo spettatore.
Basta la colonna sonora per dare l'idea di come viene sviluppata l'azione. Quella della Melinda drammatica è classica europeggiante, parte con Stravinsky (il bell'andantino che dovrebbe risultare noto agli ascoltatori di radio tre) e fa ampio uso di Bach, con supporto di Brahms, una punta di Beethoven e persino il ben poco popolare Bela Bartok. La Melinda da commedia è molto più sbarazzina, introdotta da Take the 'A' train di Duke Ellington (più newyorkese di così ...), indugia molto sulle musiche del Duca, mescolato ad altro jazz del periodo che mi è meno identificabile. E infatti il dramma ricorda molto i precedenti dell'Allen influenzato da Bergman e dalla filmografia drammatica europea in genere, mentre la commedia fila nei canoni classici alleniani.
Il personaggio "alla Woody Allen" è interpretato da Will Ferrel, naturalmente nella sezione commedia, che se la cava inaspettatamente bene, rispetto alle mie aspettative. Dopo la prima mezzoretta di perplessità ho finito per accettarlo nella parte. Molto meglio del risultato deludente della prova di Kenneth Branagh in Celebrity.
Nei ruoli minori da non farsi scappare Josh Brolin, odontoiatra dal basso livello intellettivo ma molto fascinoso, e Steve Carell, anche se solo puramente strumentale allo sviluppo. Una apparizione anche per Andy Borowitz.
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