Regia (David Cronenberg, anche sceneggiatura) impeccabile, che traspone ottimamente il notevole omonimo romanzo di Don DeLillo, brillante prova attoriale un po' di tutto il cast artistico, ineccepibile la prova del cast tecnico, colonna sonora intrigante anche nella sua assenza (gran parte del tempo siamo avvolti da un silenzio quasi insostenibile).
Il risultato è però di una pesantezza e freddezza che ho fatto fatica a sopportare fino in fondo. Notevole, ma non uno di quei film che uno affronta a cuor leggero.
La storia è quella della giornata decisiva di un giovane miliardario (Robert Pattinson) che ha fatto fortuna speculando sul cambio delle valute. Nonostante il caos in cui versa la città (New York), è assolutamente determinato ad attraversarla per andare dal suo barbiere, nel quartieraccio periferico in cui è nato, per un taglio di capelli.
Prende dunque la sua incredibile limousine, una specie di astronave fornita di tutto, e si appresta a questa traversata sulla falsa riga dell'Ulisse di Joyce, che è un po' il riassunto della sua vita. Il viaggio è così lento che durante il percorso gente sale nella sua macchina (tra cui Samantha Morton, analista teorico, e Juliette Binoche, amante), e lui scende per mangiare un paio di volte con la moglie (Sarah Gadon, appena sposata ma già sull'orlo della separazione), aver sesso con una guardia del corpo, e altre cosucce.
Ne succedono di tutti i colori. Il presidente USA è in visita, e pare che qualcuno gli voglia sparare; un popolarissimo sufi-rapper è appena morto, e il funerale attira folle oceaniche; una manifestazione anticapitalistica, in cui i manifestanti usano topi come meme (usare i topi come unità di scambio è la loro provocazione, che non scalfisce minimamente il protagonista, che pensa a come adatterebbe il suo lavoro alle mutate condizioni); un paio di attentatori sulle tracce anche del nostro uomo, con la sua intelligence che cerca di prevenire le loro mosse.
Inoltre, è in corso una speculazione contro lo yuan che si sta risolvendo contro le aspettative del genio della speculazione. O forse è una sua intenzionale mossa autodistruttiva. Ma tutto questo è svolto con una noncuranza che lascia basiti. Anche il confronto finale tra il protagonista e la sua nemesi (Paul Giamatti) si svolge quasi senza un briciolo di passione. Almeno fino all'ultima sequenza, quando finalmente se ne vede un barlume.
La lettura più ovvia che mi è venuta in mente è che si tratti di una rappresentazione della speculazione finanziaria, che venga mostrato quanto sia distaccata dalla realtà dei fatti e della natura umana, e la sua valenza autodistruttiva. Ma sul tema mi sentirei di consigliare la visione di altri film, tipo Margin call, forse inferiori tecnicamente, ma più fruibili.
concordo
RispondiEliminaMARGIN CALL è più chiaro: i banchieri sono dei bastardi al cubo e si prova compassione per chi sarà così sfortunato da comprare le azioni
in COSMOPOLIS lo spettatore rischia di provare simpatia per il giovane miliardario, capace di piangere per la morte del suo rapper preferito
Io ho trovato Margin call più coinvolgente, meno freddo, più guardabile. Mi pare impossibile che qualcuno possa trovare simpatico il protagonista di Cosmopolis, capace di far sesso o uccidere senza provare molto più che una moderata curiosità. Anche la sua commozione nei confronti del rapper mi pare di carta velina, "avevo la sua musica nell'ascensore", commenta alla notizia della dipartita.
EliminaDirei che il rischio di Cosmopolis è che uno non riesca ad arrivare in fondo.