The Truman show

Misteriosamente, la mia prima visione di questo film diretto da Peter Weir su sceneggiatura di Andrew Niccol non mi aveva particolarmente convinto. Sarà stato perché Jim Carrey mi sembrava fuori parte? Ai tempi era noto per cose come Ace Ventura e Scemo & più scemo, e anche qui ogni tanto sembra che faccia fatica a non sbizzarrirsi con la sua mimica facciale comicamente esagerata, non particolarmente adatta ad una storia come quella narrata qui. Qualche anno dopo Carrey darà un altra dimostrazione di tener bene anche il registro drammatico (alludo a Se mi lasci ti cancello), ma non seguirà spesso questa direzione.

In ogni caso, mi sbagliavo. Anche se continuo a non essere completamente convinto dell'interpretazione data dal protagonista, la storia funziona e ha un suo notevole spessore.

Si narra di Truman (Carrey), un tizio mediocre sulla trentina abbondante, che inizia a pensare che tutta la sua vita sia un gigantesco imbroglio ordito nei suoi confronti. La moglie (Laura Linney) si atteggia come se lo amasse, ma gli pare che in realtà a lei non importi poi molto di lui. Gli viene da pensare che anche il suo amico di infanzia (Noah Emmerich), che fa tanto il compagnone, e persino la madre, non gliela contino giusta.

Potrebbe essere crisi della mezza età, con un buon grado di paranoia, mescolata a teorie complottiste. Ma è ben peggio. Il povero Truman è l'inconsapevole protagonista (sin dalla nascita!) di uno spaventoso reality che lo segue ventiquattrore al giorno. Un gigantesco studio che rappresenta un'isoletta sulla costa orientale degli Stati Uniti è tutto il suo mondo, da cui gli è vietato uscire. Su di lui veglia un regista con una altissima opinione di sé stesso (Ed Harris) e un piccolo esercito di tecnici (tra cui Paul Giamatti e persino Philip Glass, ovviamente come responsabile delle musiche del reality), attori e figuranti.

Come minimo, si può leggere il film come una impietosa critica al nostro sistema televisivo, che crea una realtà posticcia che gli spettatori seguono bovinamente senza chiedersene il senso. Ma si può approfondire il discorso seguendo un gran numero di prospettive, a seconda dei gusti dello spettatore.

Colonna sonora variegata, in cui spiccano le musiche del figurante Glass.

8 commenti:

  1. sì, in effetti quando era uscito il "sistema reality" non aveva ancora assunto le attuali mastodontiche proporzioni, e -seguendo le mie inclinazioni- ci avevo letto una critica feroce alla visione protestante della religione, con un dio (Ed Harris si chiama "christoph" o un nome simile) che si diverte alle nostre spalle in modo arbitrario (una certa lettura del libro di Giobbe alla fine vede il Dio cristiano non molto diversamente...)

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    1. Seguendo la tua prospettiva, il nome del regista-demiurgo potrebbe anche essere letto Christ-off, quindi negazione di dio. In origine il tizio voleva forse emulare il suo modello, ma ha finito per creare una mostruosità.

      In questa visione mi sono trovato a seguire un filo più kafkiano. Pensa a che vita ha fatto la "moglie" di Truman, anni a fingere di amare un uomo di cui non gliene poteva importar di meno. Non è necessario essere vittime di un gigantesco imbroglio per vivere una vita insensata.

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  2. Jim Carrey era nel periodo intermedio di fase scema e fase matura, il ragazzo è un vero attore e finalmente qui inizia a dimostrarlo.
    Questo film mi colpì già alla mia prima visione, ma mai avrei pensato che avrebbe rappresentato molto bene il futuro del mondo!

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    1. A me Carrey non dispiace, anche se preferisco quando non esagera con i suoi manierismi. Faccio fatica però a identificare nella sua filmografia una fase matura. Truman e Spotless mi sembrano piuttosto fortunate eccezioni.

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    2. Aggiungerei anche anche "Man on the moon".

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    3. Hai ragione, grazie per avermelo ricordato. Ce l'ho così in mente come il film sulla vita di Andy Kaufman da farmi dimenticare che è interpretato da Carrey.

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  3. anch'io ho dovuto vedere 2 volte il TRUMANSCIO' per capirlo fino in fondo
    può essere visto come la scelta coraggiosa di un giovane che preferisce i rischi della vita a una pseudoesistenza nella bambagia della finzione
    può essere letto come metafora del mondo moderno, pieno di slogan pubblicitari e di personaggi grotteschi
    IN OGNI CASO E' UN GRAN FILM

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    1. Direi che è uno di quei film che lasciano lo spettatore libero di vederci dentro quello che più gli interessa. Volendo, è anche un classico film romantico dove i due piccioncini (Carrey e Natascha McElhone, la figurante che viene espulsa perché, poco professionalmente, invece di recitare si innamora del protagonista) vincono incredibili avversità finché l'amore trionfa.

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