L'amore dura tre anni

All'origine del film c'è il romanzo omonimo, scritto da Frédéric Beigbeder. Lo stesso Beigbeder lo ha trasformato in sceneggiatura, che poi ha pure diretto e, in un ruolo minimo, interpretato (è il soldato russo che appare nella fantasia del protagonista quando gli chiedono che pseudonimo vuole utilizzare).

Il succo della storia è mostrare quanto sia inutile cercare di razionalizzare un sentimento che di razionale non ha niente. Per illustrare il concetto, si segue l'avventura del protagonista (modellato approssimativamente sulla figura dello stesso Beigbeder, tanto per cambiare, e interpretato dal debuttante Gaspard Proust), che dalla catastrofe del suo matrimonio deduce che l'amore abbia una sua intrinseca scadenza temporale. Su questa scoperta scrive un pessimo romanzo che, dopo alcuni rifiuti, viene fortunosamente pubblicato per ottenere un inesplicabile successo.

Nel frattempo, però, il nostro ha incontrato il suo vero amore (Louise Bourgoin - la protagonista di Adele e l'enigma del faraone), moglie di un suo cugino, e questo gli ha ovviamente fatto cambiare idea. Purtroppo lei, quando scopre che lui è l'autore di quel romanzetto misogino, lo molla senza pensarci due volte.

Cambierà Lei idea e tornerà da Lui? Trattandosi di commedia leggera francese, non dovrebbe essere difficile immaginare la risposta, ma vale la pena di scoprirlo seguendo lo sviluppo, che viene arricchito da alcune vicende parallele che sono anche da spunto per alcune scene divertenti.

Love is all you need

Niente a che vedere con i Beatles, al punto che la colonna sonora (le musiche originali sono di Johan Söderqvist, e seguono bene l'azione) fa perno su That's amore nella versione di Dean Martin. Curiosamente il titolo originale (Den skaldede frisør), se il mio danese non mi inganna, significa La parrucchiera calva, sembra invece occhieggiare a La cantatrice calva di Ionesco. Ma anche in questo caso, ogni possibile riferimento mi pare privo di riscontro.

Il fatto che la protagonista del racconto sia effettivamente un parrucchiera, e pure danese, stabilisce invece un parallelo con Italiano per principianti di Lone Scherfig. Anche questo film (diretto da Susanne Bier, storia originale scritta dalla medesima ma sceneggiata da Anders Thomas Jensen) mescola temi drammatici a toni più sbarazzini, e fa in modo che il Bel Paese (che tale - nonostante il gran daffare con cui noi cerchiamo di rovinare la nostra immagine - appare ancora ai loro occhi) sia lo stimolo del cambiamento narrato.

Lei (Trine Dyrholm) è appena stata operata per un tumore. Il marito, scombussolato dalla tensione (questa almeno è la sua scusa, così demente che quasi lei ci crede), la tradisce con la contabile. Nel frattempo la loro figlia si sta per sposare con un ragazzetto che ha conosciuto pochi mesi prima. I due piccioncini sono volati a Sorrento (fotografata stile cartolina per turisti, ma in effetti così è vista dai personaggi) e, in attesa della cerimonia, si istallano nella villa del padre di lui (Pierce Brosnan), un inglese che vive in Danimarca ma che ha costruito il suo (piccolo) impero ortofrutticolo proprio partendo dai limoni.

Segue una lunga serie di contrattempi, quella che sembra essere la nuova coppia (Dyrholm - Brosnan) deve affrontare una serie di contrarietà, non ultime quelle generate da loro stessi, prima di trovare (forse) un proprio equilibrio. Svariate scene piuttosto bizzarre punteggiano lo svolgimento. Ad un certo punto, ad esempio, Brosnan si trova ad illustrare alla Dyrholm le relazioni tra maschio e femmina di un insetto che danneggia la sua amata piantagione di limoni. I maschi sono inutili e incapaci (come il marito di lei, vien da pensare), le femmine aggressive e dannose (come la cognata di lui, che lo concupisce da tempo immemore).

Particina per Ciro Petrone.

Doctor Who - Stagione 1 / 3

Come giustamente aveva accennato Gegio in passato, la partenza della nuova serie del Dottore è stata in prima, anche se si è trattato di una signora prima.

Il terzo blocco mi è infatti sembrato più maturo. Sarà che si è sciolta la tensione dell'inizio, che il cast si è affiatato, o chissà che. Fatto è che queste puntate me lo sono proprio godute.

La lunga partita / The long game

Il Dottore (Christopher Eccleston) porta Rose (Billie Piper) e il suo nuovo amichetto (vedi Dalek, nel blocco precedente) nel futuro, 200 mila anni in avanti, sulla stazione spaziale televisiva che funge da perno nella diffusione di informazioni per tutto l'impero terrestre. Simon Pegg caratterizza bene il perfido editore (che si comporta come se fosse il capo della baracca, ma a comandare davvero è l'editore in capo - un tipo decisamente poco raccomandabile).

Il tema principale dell'episodio è la libertà di stampa, e come il flusso di informazioni influenzi in modo decisivo il nostro modo di essere. A margine, Rose mollerà il suo amoretto che pensa di essere molto astuto e, come a volte capita in questi casi, si dimostra essere invece piuttosto sciocco.

Il padre di Rose / Father's Day

Salto nel recente passato, un paio di decenni appena. Il Dottore, con qualche perplessità, accontenta Rose che vuole stare vicino a suo padre nel momento del suo decesso (avvenuto quando lei era nata da poco). Come è umano aspettarsi, Rose non riesce a limitarsi a guardare e non intervenire, ma questo genera un paradosso, che a sua volta genera una trama decisamente indifendibile. Nel mondo del Dottore, quando si crea un paradosso temporale, arriva un'orda di draghi che si mangiano tutti quelli che incontrano. Questo spiegherebbe perché non convenga causare paradossi, ma crea tutta una serie di problemi (chi sono i draghi, chi li manda, che limiti di azione hanno, eccetera eccetera) di ancor più difficile soluzione.

Molto più riuscito il versante emotivo del racconto, con Rosie che scopre che il padre non era esattamente come glielo aveva descritto la madre, e con il padre che riesce a trovare un modo per riscattare un esistenza che non era stata proprio di quelle indimenticabili.

Il bambino vuoto (parte uno e due) / The empty child, The doctor dances

Episodio doppio, dal taglio horror. I due viaggiatori arrivano a Londra nel 1941. Uno strano bambino, con maschera antigas sulla faccia, cerca la sua mamma. Tutti quelli che tocca vengono trasformati in zombie che ne replicano sommariamente la figura. Sul posto si trova anche un altro viaggiatore del tempo, il capitano Harkness (John Barrowman), nato nel cinquemila e rotti, che non potrà scappare alla collezione di amicizie romantiche di Rose.

L'avventura mostra anche un curioso parallelo tra omosessualità e tecnologie avanzate (in particolare, le nanotecnologie), come a dire che entrambe vadano valutate nel contesto in cui si trovano.

Paris-Manhattan

Già il titolo dovrebbe far capire che ne è sconsigliata la visione a chi non piaccia la commedia francese e Woody Allen. Eppure tra i pareri negativi che ho letto, le motivazioni principali vertono sul fatto che (a) è una commedia francese (b) in cui aleggia la presenza di Woody Allen. Un po' come andare a fare il turista a Roma e lamentarsi che ci sono troppi romani.

Non che il risultato sia eccellente, è il primo lungometraggio scritto e diretto da Sophie Lellouche, e si nota ancora qualche problema di scorrevolezza. Ma il cast è buono, tutti bravi (protagonisti Alice Taglioni e Patrick Bruel), anche se a tratti si nota la mancanza di un regista più navigato. Si ride (non tantissimo, a dire il vero, e le battute migliori sono citazioni esplicite di Allen), ci sono un paio di colpi di scena, e qualche attimo molto tenero, da commedia romantica francese.

Si racconta la vita di Alice (che è proprio la Taglioni), ragazzina ribelle che non riesce ad entrare in sintonia con nessuno, se non con Woody Allen, per il quale ha una predilezione che rasenta l'adorazione, al punto da dialogare con il suo poster che ha in camera. L'escamotage può far pensare a Play it again, Sam; ma a me sembra più vicino a Slam di Nick Hornby. Alice rapidamente cresce, e il padre le intesta la farmacia di famiglia (l'avevo detto che eravamo dalle parti di Allen, non solo la commedia è sofisticata, ma la famiglia di Alice è pure di origine ebraica). Lei ne approfitta per conciliare la sua passione cinematografica con le esigenze della clientela, prestando film (tanto Allen, ho notato un Lubitsch) invece di vendere pastiglie.

Entra in campo lui, Bruel, un installatore di sistemi di allarme, che pure li inventa (con dettagli al limite del demenziale), ennesimo uomo che la famiglia presenta ad Alice, sperando di trovarle un compagno. E in effetti lui è pure una brava persona, ma la differenza di età è tanta (una ventina d'anni, occhio e croce), e poi non ha mai visto nemmeno un solo film di Allen!

Se abbiamo un minimo di conoscenza dei meccanismi della commedia sofisticata, a questo punto sappiamo già come andrà a finire, però c'è tempo per seguire le strane vicende della famiglia di Alice, vedere una rapina alla farmacia con finale inaspettato, fare la conoscenza del fidanzatino della nipote di Alice.

Il mondo nuovo

Per François Mitterrand e, immagino, per molti altri francesi, uno tra i migliori film sulla rivoluzione francese è proprio questo, da loro è noto col titolo di La nuit de Varennes. Dunque come per la trilogia del dollaro, dove Sergio Leone è considerato maestro dello western, qui abbiamo Ettore Scola che mostra come il cinema italiano era (e secondo me sarebbe anche adesso) tranquillamente capace di sbancare in tutto il mondo.

L'episodio narrato è quello della tentata fuga di Luigi XVI e famiglia, bloccati a Varennes sulla strada per il confine. Come spesso accade nei film di Scola (sua la sceneggiatura non originale, in collaborazione con Sergio Amidei, altro personaggio mitologico del cinema italiano, al suo ultimo lavoro), la vicenda storica viene seguita lateralmente, e infatti il povero Michel Piccoli, che teoricamente intepreterebbe il personaggio principale (è lui il re) non è nemmeno citato nel cast, ha solo poche battute in una scena nel finale, in cui lo si vede dal ginocchio in giù.

Seguiamo invece le vicende di alcuni personaggi che più o meno casualmente finiscono per fare assieme parte dello stesso percorso, partendo da Parigi poche ore dopo la famiglia reale, e giungendo a Varennes giusto in tempo per assistere all'arresto. Una dama di compagnia della regina (una luminosa Hanna Schygulla) ha un misterioso incarico che consiste nel portare un pacco in località sconosciuta. Un gran ficcanaso, che risponde al pomposo nome di Nicolas Edmé Restif de la Bretonne, considerato oggi il padre della moderna pornografia, e che aveva uno stile di scrittura tale da poterlo considerare anche padre del giornalismo di inchiesta (interpretato da Jean-Louis Barrault), annusa la traccia e si lancia all'inseguimento (da notare che è sull'anzianotto spinto). Casualmente sulla carrozza si trovano anche il rivoluzionario americano Thomas Paine (Harvey Keitel), una cantante lirica italiana (Laura Betti), uno studente e altri personaggi meno interessanti. Inoltre, il de la Bretonne incapperà in nientemeno che Giacomo Casanova in disarmo e in incognito (Marcello Mastroianni, un nome una garanzia), attirandolo nella compagnia.

I diversi personaggi, ognuno con un suo proprio punto di vista, illuminerà la storia secondo una diversa prospettiva. Inoltre c'è un cameo di Jean-Louis Trintignant (è il candelaio di Varennes che si trova ad ospitare re e famiglia) e di Enzo Jannacci (è il guitto che racconta il film, in pratica una personificazione del regista).

Anche il cast tecnico è eccellente, bella la fotografia di Armando Nannuzzi, piacevole la colonna sonora di Armando Trovajoli (che include anche un accenno al Don Giovanni di Mozart canticchiato da Mastroianni e la Betti), scenografie di Dante Ferretti che, incrociate con i costumi di Gabriella Pescucci, danno un risultato affascinante.

Il film è dedicato a Sergio Amidei. Nel mio piccolo, dedico la visione a Jannacci e Trovajoli.

Doctor Who - Stagione 1 / 2

Succulento terzetto di episodi, dove i primi due sono un mega-episodio spezzato per rispettare la tempistica televisiva, e in italiano si intitolano, per l'appunto, Alieni a Londra parte uno e due, ma in originale Aliens of London e World War Three.

Il Dottore (Christopher Eccleston) e la passeggera a titolo gratuito Rose (Billie Piper), tornano al tempo corrente (per quanto questo possa voler dire qualcosa), dopo aver visto la letterale fine del mondo che avverrà tra cinque miliardi di anni. Curiosamente non si accenna al salto indietro, piuttosto memorabile anche solo per l'incontro con Charles Dickens, del terzo episodio. Sarà perché quello era l'unico del gruppo precedente a non essere stato scritto da Russell T. Davies, che qui torna alla penna. Sappiamo già che TARDIS ha le sue imperfezioni, e qui ce le dimostra, sbagliando di un anno la data del rientro, così che Rose risulti scomparsa per un anno, con tutte le conseguenze del caso. Uno potrebbe dire, ma perché, scoperto l'inghippo, non hanno fatto un saltino all'indietro nel tempo per riaggiustare la situazione? La risposta è semplice, e riguarda più l'impossibilità di far quadrare una sceneggiatura che includa salti nel tempo che i limiti di TARDIS.

In questo episodio ci viene detta l'età del Dottore (novecento anni), e si incontra una banda di delinquenti extraterrestri, gli Slitheen, che per far soldi non esiterebbero a distruggere la Terra. Si approfitta del ritorno a casa di Rose anche per migliorare l'immagine del fidanzato ufficiale di Rose (povero diavolo).

Dalek è scritto da Robert Shearman, e narra di come TARDIS porti i due viaggiatori nel futuro prossimo (che è già diventato passato, infatti si dice esplicitamente che è il 2012), attirato dalla richiesta di aiuto di un extraterrestre prigioniero di un estroso miliardario americano. Facciamo dunque la conoscenza dei Dalek, la razza che ha combattuto la feroce guerra contro i Signori del Tempo, che ha portato al bel risultato di distruggere tutti quanti. Il supposto unico superstite ci terrebbe a finire il lavoretto, terminando anche il Dottore ma, come possiamo aspettarci, le cose andranno diversamente.

E' il primo episodio (almeno della nuova serie) in cui il Dottore perde il suo disincantato buonumore. Gli viene fatto anche un controllo medico, da cui si scopre che ha due cuori. Rose ne approfitta per fare un'altra conquista, complicando ulteriormente la sua situazione sentimentale.

Stardust memories

Un modo per affrontare le proprie paure è quello di ingigantirle, distorcerle, osservarle da angolazioni strane, al punto di renderle ridicole, così da farci scaricare la tensione con una bella risata. In questo senso, Stardust memories potrebbe anche essere considerato un film autobiografico.

Sandy Bates è un alter ego di Woody Allen (che ha ovviamente anche scritto e diretto il film) che si trova in un periodo di grossa crisi. Vorrebbe essere un autore all'europea, ma il film che ha realizzato è, ad essere gentili, molto inferiore ai suoi modelli. Il finale, in particolare, sembra senza capo né coda, e tutti cercano di convincerlo a cambiarlo. Inoltre, è un film serio (o almeno, vorrebbe esserlo), ma stampa, fan, produttori, hanno catalogato Bates come comico e si aspettano da lui la continua ripetizione del modello originale ("Amo il tuo lavoro, soprattutto i primi film", è il ritornello costante). Sul lato sentimentale, vorrebbe avere una relazione stabile, ma l'amore della sua vita (Charlotte Rampling) l'ha mollato, e lui è combattuto tra impegnarsi con una donna che sembra emotivamente stabile (Marie-Christine Barrault) o una affascinante pazzerella (Jessica Harper). La crisi verrà risolta nel finale da un colpo di genio che riuscirà a far quadrare il cerchio. Forse.

Anche solo nel mio debole riassuntino, il lettore più avveduto avrà ritrovato una somiglianza non marginale con 8½ di Federico Fellini. Ma c'è pure Ingemar Bergman che occhiegga burbero nella sequenza iniziale, un sogno che ha in sottofondo un inquietante ticchettio di un orologio che non promette niente di buono, e lascia pure un piccolo spazio al debutto sullo schermo di Sharon Stone (è la bella donna che viaggia sull'altro treno, quello allegro, e manda un bacio a Bates), e pure nel montaggio spezzato in una scena con la Rampling in primo piano. Sarei più cauto nell'attribuzione di altri spunti, forse Luis Buñuel per gli alto-borghesi che camminano incongruamente in una discarica, Pier Paolo Pasolini, e il neorealismo italiano (Pietro Germi?). Citazione invece esplicita per Ladri di biciclette di Vittorio De Sica.

Il sovraccarico citazionista potrebbe rendere la prima parte poco scorrevole. Consiglio comunque lo spettatore di non farsi prendere dall'impazienza, che il finale (potrebbe) ripagarlo adeguatamente. In particolare mi pare imperdibile la scena da cui il film prende il titolo. Bates indugia su un suo ricordo, uno di quelli che definiscono una vita. Stava mangiando un budino, un giorno di primavera, con un disco in sottofondo. Lei (nel senso della Rampling) era di fronte a lui e leggeva il giornale. Non succede molto altro, il disco è Stardust, nell'esecuzione di Louis Armstrong, lei continua a sfogliare distrattamente il giornale, ma ricambia lo sguardo (ovvero, guarda in camera). E sorride.

Monsters & Co.

Riedito da Disney-Pixar dopo una decina di anni, con la scusa del 3D (ma è disponibile anche nel formato classico bidimensionale, a cui ho dato la preferenza), ci ricorda quali passi in avanti ha compiuto la grafica computerizzata in un decennio. Anche se le scene in cui domina una struttura regolare (vedi l'inseguimento tra le porte in volo, stile montagne russe) sono già di una nitidezza affascinante.

A vederlo in italiano si perde il gusto dell'ascolto, ma è comunque divertente pensare agli attori che hanno doppiato i personaggi in originale. Il protagonista, una specie di Chewbacca da Guerre stellari ma molto più morbidoso e colorato, ha la voce di John Goodman; il suo compare, la palla verde mono-oculaure, è Billy Crystal; il geco mimetico loro nemico giurato è Steve Buscemi e la sua spalla, il triocchiuto palliforme con zampe da pollo, Frank Oz; quella specie di granchio a capo della baracca è James Coburn.

La storia ci spiega perché i mostri spaventano i bambini con incubi terribili. Lo fanno per lavoro. Lo strillo del bimbo genera l'energia che muove il loro mondo. Tutto ciò non è bello, ma secondo alcuni non ci sono alternative. Una cosa che ho imparato dalla vita è di non fidarsi di chi fa affermazioni simili. Spesso lo fa per pigrizia (il cambiamento è faticoso) o per mantenere un privilegio.

Un altro tema che si esplora è quello del pregiudizio. I mostri, sembra difficile crederlo ma è proprio così, sono terrorizzati dai bambini quanto questi ultimi da loro. Il motivo di tutto ciò è la superstizione, completamente infondata, che i bambini siano letali. Non si spiega come questa idea sia nata, ma è funzionale ad una serie di buffe scenette.

La parentela con Toy story è molto forte, nella qualità del disegno come pure nella bella colonna sonora, che qui ha un sapore prebellico (nel senso della seconda mondiale) curata sempre da Randy Newman (Oscar per la canzone sui titoli di coda).

Doctor Who - Stagione 1 / 1

Mi sono comprato il Box-set delle prime quattro stagioni "moderne" delle avventure di quello che, almeno per quel che riguarda il mondo della fantascienza, è noto per antonomasia semplicemente come Il Dottore. La versione che ho scelto è quella originale (attratto da un DVD in più per stagione). Per chi vedesse l'inglese come uno scoglio insormontabile, le stagioni sono comunque disponibili anche doppiate in italiano.

In questa stagione il dottore è nella sua nona incarnazione, con le sembianze di Christopher Eccleston. Produttivamente, si veniva da un periodo buio. Gli anni ottanta sono stati di crisi per questa longeva serie (nata negli anni sessanta), culminati nella chiusura a fine decennio per una crisi creativa che sembrava definitiva. A metà anni novanta c'è stato un primo tentativo di resurrezione, che però è fallito, e solo dieci anni dopo si è riuscito a trovare lo spirito giusto per ripartire.

Il pubblico d'elezione direi che è minorile. I DVD sono segnalati come inadatti ai minori di dodici anni, penso che sotto questa età il prodotto rischi più che altro di risultare noioso e incomprensibile. Come tipo di narrazione, siamo dalle parti di Star Trek, si punta sulla meraviglia e sul sentimento di fratellanza universale (per quanto possibile). I toni virano spesso all'umorismo (inglese, ovviamente), alleggerendo i temi trattati. Il parallelo con le vecchie stagioni di Star Trek regge anche per quanto riguarda la qualità della produzione, buona, ma evidentemente televisiva, e gli effetti speciali, limitati dal budget certamente non faraonico.

1. Rose

Primo episodio. Si parte presentando Rose (Billie Piper), una giovane donna (nel terzo episodio il dottore le attribuirà un età di diciannove anni, la Piper aveva in realtà già qualche anno di più) che lavora come commessa in centro a Londra e ha un fidanzato che non sembra molto brillante. Una sera, tirando tardi sul lavoro, viene attaccata dai manichini (!), ma si salva grazie all'intervento del Dottore in persona. Varie circostanze portano i due rivedersi e ad affrontare assieme il bizzarro fenomeno di un tentativo di invasione della Terra da parte di una forma di vita plasticosa.

Non dovrebbe sorprendere che alla fine i due faranno amicizia, e formeranno una specie di coppia - anche se non si entra in dettagli romantici.

2. The end of the world - La fine del mondo

Visto che il Dottore è fornito di TARDIS, una astronave che permette viaggi spazio-temporali ed ha le curiose sembianze di una cabina della polizia inglese del secolo scorso, si pensa bene di approfittarne per fare un balzo nel futuro remoto, ben cinque miliardi di anni, per partecipare all'evento della fine del mondo. Un po' come nella Guida galattica per autostoppisti (dove c'è addirittura un ristorante alla fine dell'Universo), la distruzione della Terra è occasione per una festicciola a cui partecipano i più ricchi dei dintorni. Curioso che l'unico viaggiatore del tempo sia il Dottore, ma si sa, il viaggo nel tempo è paradossale di per sé, e usarlo in un racconto porta necessariamente a buchi di sceneggiatura. Il punto principale è che qualcuno complotta per distruggere quell'avamposto pieno di gente ricca e potente, e il Dottore dovrà evitare la catastrofe.

3. The unquiet dead - I morti inquieti

Si viaggia nel futuro, e anche nel passato, come è il caso di questo episodio, scritto da Mark Gatiss (i precedenti sono di Russell T. Davies, mente principale dell'intera operazione di rinascita del Dottore). Il Dottore voleva far di nuovo colpo su Rose, portandola a Napoli nel 1860, ma TARDIS ha un caratterino tutto suo, e li porta invece a Cardiff nove anni più avanti. Piccolezze. Si trovano coinvolti però in un dramma gotico, con tanto di morti viventi posseduti da misteriose entità extraterrestri. A risolvere la situazione parteciperanno una servetta e Charles Dickens (!).

Gran Torino

Un vegliardo (Clint Eastwood) è pronto per il count down finale. Ha seppellito la moglie e, come il protagonista di Up, se ne vive solo soletto in un tipico villino delle immense periferie americane, badando a che nessuno gli pesti il prato.

A differenza di Up, ad assediarlo non è la speculazione edilizia ma una nuova ondata di immigrati, che allontanano i bianchi da quel quartiere, divenuto fatiscente, per fare spazio agli orientali. Il protagonista, che è di origine polacca, reagisce in un modo che sembrerebbe estremamente xenofobo, se non fosse che, in realtà, al nostro stanno odiosi tutti, e il colore della pelle, il luogo di origine, usi e costumi, sono solo un pretesto per scaricare la sua incapacità di relazionarsi con chicchessia. Forse con la moglie era riuscito a stabilire un qualche equilibrio, ma non ci è dato di scoprire quale.

Capita però, per un maldestro equivoco, che i suoi vicini di origine vietnamita fraintendano una sua reazione, facendosi così l'idea che lui sia una brava persona dal carattere brusco. A furia di esserne convinti, finiscono per convincere anche lui, che avrà così modo di dare una bizzarra raddrizzatina ad un esistenza che era stata piuttosto dimenticabile.

Il film, che è diretto dallo stesso Eastwood, si regge sugli stereotipi dei film che hanno reso famoso il protagonista. E' un po' come uno spaghetti western in cui il cavaliere misterioso arriva nel villaggio del west vessato dai delinquenti e, inizialmente malvolentieri, poi più convinto, finisce per aiutare i bifolchi a trovare un loro riscatto. Senza Clint che alimenta questa suggestione direi che il film non reggerebbe. Anche perché regia e sceneggiature non è che siano tra le più ispirate.

Il titolo fa riferimento all'automobile del protagonista, che è in pratica l'unica cosa che gli sia restata di tutta la vita, a parte gli incubi dovuti alla sua partecipazione alla guerra di Corea.

Larry Flynt - Oltre lo scandalo

Il titolo originale punta più sul continuo, molto conflittuale e anche un po' paranoico, rapporto di Flynt con i tribunali, The people vs. Larry Flynt, molti titoli localizzati puntano come quello italiano sullo scandalistico, il più simpatico mi pare il tedesco, Larry Flynt - Die nackte Wahrheit, la nuda verità, giocando su quello che è il core business di tutta la vita del personaggio di cui si narra la biografia.

Una brutta persona, per dirla tutta. Da bambino arrotondava vendendo alcolici fatti in casa agli alcolizzati locali, crescendo, ha scoperto la sua vera passione, il sesso e il suo commercio. Dopo aver rischiato un misero tracollo, ottiene il successo grazie alla quasi casuale invenzione di Hustler, una rivista ... inutile girarci attorno, pornografica. Al confronto Playboy e Penthouse sono roba da raffinate educande.

Flynt diventa rapidamente milionario, e questo, assieme al suo caratteraccio, gli attira una serie di problemi, che più passa il tempo più crescono, al punto da subire numerosi processi, con relativi soggiorni in galera. Rischia pure di venire ammazzato a schioppettate, da non si sa bene chi. Con tutti i nemici che si era fatto, e con la notoria facilità di procurarsi armi che esiste negli USA, potrebbe essere stato chiunque.

Il punto chiave della vicenda è che uno dei suoi problemi legali arriva fino alla corte suprema. Uno dei pilastri su cui si basa la democrazia americana è la libertà di parola, garantita dal primo emendamento. Il problema è se si debba porre un limite a questa libertà, e dove questo limite stia.

Film molto difficile da fare, considerando che c'è una fascia di popolazione che non apprezza per nulla che si parli di questi temi. Fatto è che Milos Forman non è tipo da farsi intimorire dal rischio di impopolarità, come dimostra anche la regia di Qualcuno volò sul nido del cuculo, che risale al lontano 1975. A condividere i rischi dell'operazione ci si è messo pure Oliver Stone, tra i produttori.

A intepretare Flynt c'è Woody Harrelson che in una scena si trova di fronte al vero Larry Flynt che a sua volta interpreta un giudice che lo sbatte in galera.

Edward Norton, agli inizi di carriera, si comporta bene in un ruolo di supporto (è l'avvocato di Flynt), ma secondo me ad uscire meglio è Courtney Love, moglie tossica bisessuale con tendenze autodistruttive di Flynt.

Holy Motors

Non è un film che dia la risposta ai Grandi Interrogativi della Vita. Chi abbia questa esigenza, potrebbe guardare, ad esempio, la Guida galattica per autostoppisti (spoiler: 42). Qui è tutto indefinito. Leos Carax (sceneggiatura e regia) ci presenta il suo lavoro, e ci pensi lo spettatore a farsi le sue domande e darsi le sue risposte.

La pellicola inizia con Carax che si sveglia in una stanzetta nelle vicinanze di un aeroporto, in un modo così bizzarro da far pensare che in realtà non si sia per niente svegliato raggiunge un cinema in cui gli spettatori sembrano massificati e incapaci di mostrare una qualunque emozione, e dunque la storia comincia.

Si narra la giornata del signor Oscar (Denis Lavant, da applausi a scena aperta) che lavora per la Holy Motors, o forse usa il loro servizio limousine, vallo a capire. Alla guida c'è la fedele Céline (Edith Scob) che lo scorrazza per Parigi fornendogli una serie di brevi sceneggiature che prevedono che Oscar si trasformi in una estremamente variegata serie di personaggi per interpretare brevi vicende che sembrano non avere né capo né coda.

Ad esempio, in un episodio Oscar si trasforma in Merda, un essere orribile che dopo aver fatto perdere le sue tracce (non si sa da chi) viaggiando per le fogne (dove incrocia una umanità dolente in fuga da chissà che), emerge in una versione di Père-Lachaise (il famoso cimitero) dove le lapidi pubblicizzano siti web. Dopo essersi mangiato fiori destinati ai defunti e aver calpestato un cieco che ha avuto la sfortuna di incrociare il suo percorso, si imbatte un famoso fotografo americano (mi pare si chiami T-Bone, come dire, Bistecca Alla Fiorentina) che sta facendo un servizio fotografico alla famosa starlet Kay M (Eva Mendes), la rapisce, per sottoporla ai suoi bizzarri voleri. La reazione di lei è praticamente nulla, quasi che fosse un Barbie a grandezza naturale.

In uno dei viaggi di trasferimento, Oscar parla con qualcuno (Michel Piccoli) che pare sia un suo capo, e abbiamo una specie di spiegazione di quello che sta accadendo. Sembra dunque che Oscar sia un attore, e che il cinema, ora, si faccia così.

Più avanti ancora, un incidente blocca la limo di Oscar, che ha modo di strappare un fugace incontro con una collega (Kylie Minogue) che non vede da molto tempo. I due sembrano innamorati, ma qualcosa li costringe a stare lontano. Sembrerebbe che questo incontro sia reale, e i due non stiano recitando, ma poi la scena vira al musical (e la Minogue si mette a cantare).

La fine della giornata di Oscar è ancor più sorprendente. Dovrebbe abbandonare il lavoro, ma scopriamo che ha una sceneggiatura anche per la notte, e oltretutto la famiglia che raggiunge è evidentemente diversa dalla famiglia del mattino.

Poca musica nel film, ma utilizzata molto bene. Oltre alla scena della Minogue (che ha un nonsoché hitchockiano), si veda ad esempio questo estratto che fa da interludio tra il primo e il secondo tempo:

Singles - L'amore è un gioco

Allo spettatore distratto potrebbe sembrare una commedia sentimentale corale come molte altre. Una casa a Seattle all'inizio degli anni novanta, abitata da quasi-trentenni più o meno pronti ad entrare nell'età adulta, il cui problema principale è quello di non riuscire, per un motivo o per l'altro, ad avere una relazione stabile. Seguiamo coppie che si cercano, si formano, si sfasciano fino all'epilogo felice per tutti quanti.

Facendo attenzione ai particolari, si trovano però una messe di cosettine che rendono la visione interessante.

È il secondo film diretto (oltre che scritto) dal poco prolifico Cameron Crowe. Viene tre anni dopo Non per soldi... ma per amore, che pure aveva avuto un buon riscontro, contribuendo al lancio di John Cusack, ai tempi ancora giovane promessa dall'incerto futuro. Come tutti i film di Crowe, la colonna sonora è curatissima. Qui l'enfasi è, ovviamente, sul Seattle sound (aka Grunge), colto proprio nel passaggio dal momento più creativo e alternativo al mainstream più commerciale. E quindi sentiamo i Pearl jam, Alice in chains, TAD, Mudhoney, un po' a coprire tutto lo spettro del fenomeno grunge. Viene dato spazio anche ad altra musica dello stesso periodo, e anche abbastanza affine, come quella degli Smashing pumpkins e dei Pixies, eccetera.

Uno dei personaggi principale è Matt Dillon, nei panni del leader di una band che affossa con la sua incapacità. Oltre a lui, nei Citizen Dick (!) militano Stone Gossard, Eddie Vedder e Jeff Ament, come dire, i Pearl jam! Particolare buffo, vediamo Dillon ad un concerto (dove suonano gli Alice in chains) che viene intervistato da un critico musicale, che poi è lo stesso Crowe. In seguito abbiamo modo di scoprire che l'articolo dice che Dillon è disastroso, ma il resto della band è eccellente.

Altro ruolo principale per Bridget Fonda, che dieci anni dopo mollerà il cinema sposando Danny Elfman. E, guarda un po' la coincidenza, in questo film c'è un divertente cameo di Tim Burton che appare per pochi secondi nei panni di uno scarsissimo regista di videoclip per annunci matrimoniali indicato dalla sua agente come il prossimo Martin Scorsese. E c'è pure Paul Giamatti, che appare in un ruolo minimo (rovina l'appuntamento di una delle coppie protagoniste sbaciucchiando ardentemente la sua partner in un bar).

Arizona junior

Secondo film di Ethan e Joel Coen. Dopo l'esordio quasi hard boiled di Blood simple, i due terribili fratelli lasciano maggior spazio ai temi da commedia, introducendo alcuni elementi talmente caricati (il cacciatore di taglie alla Hells angels, ad esempio) da far pensare all'immaginario fumettistico.

Il protagonista è H.I. (per gli amici Hi) un piccolo delinquente (Nicolas Cage ancora agli inizi di carriera) caratterizzato da una buffa parlantina eccessivamente forbita (caratteristica che verrà ripresa, ad esempio, dai protagonisti di Fratello, dove sei?) e da una incapacità assoluta di delinquere, cosa che lo porta ripetutamente in galera, al punto da approfondire a tal punto la conoscenza con Ed (abbreviazione di Edwina), la poliziotta addetta alla catalogazione dei nuovi arrivati (Holly Hunter), che tra i due nasce un amore che si concretizzerà nel matrimonio, con conseguente abbandono dell'attività criminale di lui.

Il problema è che lei, che vorrebbe ardentemente avere figli, scopre di essere sterile. Il che la porta a deprimersi, a anche ad abbandonare la polizia. Si riscuote dal suo torpore quando scopre che un noto venditore di mobili -tipo Ikea- delle loro parti, che ha cambiato il suo cognome in Arizona per motivi pubblicitari (Trey Wilson), ha appena avuto cinque gemelli. Non solo questa disparità è ingiusta, medita lei, ma la madre non può certo stare dietro a tutti loro. Convince dunque il marito a rapire uno dei frugoletti.

Un paio di ergastolani, i fratelli Snoats (un tracimante John Goodman e William Forsythe), evadono rocambolescamente dal carcere, e cercano rifugio dal vecchio amico di galera. Costoro pensano di dedicarsi a rapinare banche, ma non avrebbero remore neppure incassare il premio per chi ritrovasse il giovane Arizona.

Il capo di Hi e la di lui moglie (Frances McDormand), vanno a trovare la famigliola (Hi ed Ed dicono di aver adottato Junior) con la loro masnada di bimbi adottati, altamente distruttivi, e, nonostante non siano delle cime, capiscono che c'è sotto qualcosa di strano.

Anche un orribile cacciatore di taglie, che seguiva i fratelli Snoats, annusa l'inghippo, e abbandona la caccia ai fuggitivi per dedicarsi al poppante.

Meno truculento della tipica produzione Coen, con inseguimenti e sparatorie dove nessuno subisce danni che mi hanno fatto pensare ai Blues brothers di John Landis, è dotato pure di un finale tutto sommato positivo.

La colonna sonora è in puro stile country del sud degli USA, le musiche originale del solito Carter Burwell includono una indescrivibile versione per banjo dell'inno alla gioia dalla nona di Beethoven.

Mrs. Doubtfire - Mammo per sempre

Un attore deve far finta di essere una donna, nella vita reale, non (*) in scena, per raggiungere il suo scopo. Una serie di vicissitudini mostra come il mentire su di un particolare così rilevante porti troppe complicazioni e alla fine il gioco debba necessariamente crollare.

Se in questo mini riassunto al posto dell'asterisco mettiamo un "solo" otteniamo Tootsie, non mettendo niente, Mrs. Doubtfire. Il paragone, però, è distruttivo. Il punto forte qui è Robin Williams (toglilo, e il film naufraga miserabilmente), dall'altra parte abbiamo un dream team da leccarsi i baffi (Sidney Pollack alla regia, Dustin Hoffman protagonista, Jessica Lange nel ruolo della sua carriera, comprimari di lusso come Bill Murray e lo stesso Pollack). Il film è comunque divertente, almeno a tratti, e meriterebbe di essere visto in originale, per non perdersi il fregolismo verbale del protagonista.

Un po' come il protagonista di Tootsie, quello di Doubtfire è un bravo attore che non riesce a tenersi un lavoro per la sua eccessiva rigidità (in particolare, lo vediamo inneggiare ad una salutista battaglia contro la propaganda per il fumo nei cartoni animati, che sarebbe stata più sorprendente se il film fosse stato ambientato qualche decennio prima). La sua mancanza di affidabilità e apparente disinteresse al successo, finisce per usurare la relazione con la moglie (Sally Field, ruolo mal disegnato, volubile e instabile fino a diventare a tratti di perfida oltre misura) che, al contrario, ha un lavoro dignitoso in linea con le aspettative della classe medio-alta americana. Dunque ella chiede il divorzio, e ottiene l'affidamento dei figli, cosa che fa uscire di testa il neo-separato papà, disposto a far di tutto per vederli, persino travestirsi da attempata governante inglese. Altra complicazione, un aitante inglese (Pierce Brosnan) si mette a corteggiare la quasi-ex-moglie del protagonista, con intenzioni molto serie.

Per non dar fastidio a nessuno, il finale è aperto. Forse i due si rimetteranno assieme, o forse no. Comunque sia, tutti vivranno felici e contenti, a parte l'inglese, di cui si perdono le tracce prima del finale.