Dietro a questo film si cela una domanda a cui m'è difficile dare una risposta: ma come hanno fatto a convincere Julianne Moore a partecipare ad una stupidata di questo livello? L'hanno pagata una cifra esorbitante, o l'hanno subdolamente ricattata?
Il film è centrato sul suo personaggio, una psichiatra criminale (nel senso di una psichiatra che si occupa di casi criminali - non vorrei creare false aspettative), con qualche spazio lasciato all'antagonista interpretato da Jonathan Rhys Meyers che, dato l'improbo compito che si è ritrovato - un povero disgraziato afflitto da personalità più che multiple innumerevoli - devo dire che non se la cava neanche male. Tra i personaggi minori spicca per la inconsistenza Jeffrey DeMunn, nei panni del padre della protagonista, anche lui uno strizza.
La regia, un duo svedese formato da tali Måns Mårlind e Björn Stein, non è neanche male, almeno nei primi minuti, ma poi cede volentieri ad un manierismo di genere che finisce rapidamente per stufare, anche perché il grosso problema di questo film è che non si capisce bene di che genere sia. Verrebbe da dire che la pellicola ha lo stesso problema del suo "cattivo".
Stenderei un pietoso velo sul colpo di scena tecnologico, ma non ce la faccio a trattenermi: il fratello della strizza ha, per motivi ignoti, nel suo computer un programma tale che cattura una immagine in movimento, la elabora e ne estrae l'onda sonora (tridimensionale) associata. Non è facile spiegare la cosa, anche perché è completamente priva di senso. Ma anche il resto della vicenda brilla per fatti privi di senso che cozzano violentemente tra di loro rendendo la visione una tempestosa assurdità.
Cosa avranno mai voluto dire i registi e lo sceneggiatore (Michael Cooney) raccontando questa oscura vicenda? Questa domanda mi pare più semplice di quella iniziale: a mio parere, nulla.
La storia, che fra l'altro si svolge a Pittsburgh, che sembra essere diventata una piccola Hollywood vista la mole di film che vi vengono girati, per fare un titolo The next three days, inizia mostrandoci la strizza che dichiara, con una assolutezza che dovrebbe lasciar perplesso ogni buon conoscitore del metodo scientifico, che il disturbo di personalità multipla non esiste. Subito dopo il padre, anche lui strizza, le mette sotto gli occhi un caso che, al netto della sua spettacolarizzazione cinematografica (un po' da baraccone), dovrebbe per lo meno portarla a usare un linguaggio meno tranchant. E in effetti, almeno inizialmente, la Moore spiega sommariamente che il disturbo di personalità multipla esiste, ma non è così comune come viene divulgato, e soprattutto non è che più persone coesistano nello stesso corpo (cosa fisicamente oltre che evidentemente impossibile) ma che un singolo individuo può attivare questo meccanismo di difesa in seguito a grossi traumi.
Tenendo questa linea, il film ci sarebbe già tutto - un povero disgraziato con i suoi traumi, un comportamento incomprensibile e bizzarro, la coraggiosa strizza che riesce a dargli un briciolo di serenità. Ma niente da fare. Si preferisce buttare tutto alle ortiche per sviare verso thriller con serial-killer, dove il cattivo sarebbe un super-astuto che finge di avere un problema di personalità multiple, mentre in realtà ammazza a tutto spiano. Già, ma perché? Come sottotesto ci mettiamo poi il rapporto padre-figlia: lui chiede troppo a lei, lei fa il suo stesso lavoro solo per antagonismo. Mannò, buttiamo di nuovo tutto in pattumiera e introduciamo la pista satanica o, a scelta, la fondamentalista cristiana. Oppure una qualche sorta di animismo sincretico che combatte contro una presenza demoniaca. E aggiungiamoci pure il rapporto fede-scienza, tanto per rendere più fumosa la vicenda.
Ricapitolando, un po' Il silenzio degli innocenti, un po' Shining, un po' film demoniaci vari (che non cito perché non frequento il genere), un po' Seven, un po' di tutto. E non ci rimane in mano praticamente niente.
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