La tragica storia di Jackie Du Pré, una delle più note violoncelliste del secolo scorso e prima moglie di Daniel Barenboin, narrata dal punto di vista della sorella.
L'attendibilità storica della vicenda è perlomeno dubbia. Come è naturale che sia, la visuale troppo ravvicinata potrebbe aver distorto parti non secondarie della vicenda, direi quindi che non conviene dare troppo credito ai fatti narrati, ma concentrarsi piuttosto sul lato emozionale della vicenda, che del resto direi è anche il taglio complessivo dato dalla regia (Anand Tucker).
Jackie (Emily Watson) e Hilary (Rachel Griffiths) sono musiciste più per obbligo familiare che per passione, e sembrano indirizzate ad una carriera musicale di quelle che finiscono per cancellare la vita privata, se non che Hilary, meno dotata, viene salvata dall'incontro con un estroso direttore d'orchestra che vede la musica come solo un aspetto della vita, e non la vita nella sua interezza. I due si sposano e vanno a vivere in campagna, tra galline e una nutrita figliolanza.
Jackie viene tratteggiata come sfortunata nella fortuna, praticamente costretta ad abbracciare una carriera da pendolare perenne, sacrificando tutto il resto, diventando quasi una propaggine del suo strumento musicale. Lo stesso Barenboin viene descritto come attirato di lei soprattutto in quanto virtuosa del violoncello. Quando la sclerosi multipla la colpisce, portandola prima all'incapacità di suonare, poi, con una inenarrabile lentezza alla morte, Jackie sembra drammaticamente regredire a poco a poco, per tornare la bambina che era all'inizio del film.
Bella l'idea di riproporre la parte centrale del film, quando le due sorelle si separano, dai due punti di vista diversi, mostrando come la stessa vicenda sembri completamente diversa a causa delle diverse prospettive. Sarebbe stato interessante vederla narrata anche da Barenboin.
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