È fatto comune che le sit-com siano precedute da un episodio pilota, in cui non succede poi molto, a parte la presentazione dei personaggi e del setup della storia. In base alla reazione del pubblico, si valuta quanto investire nella serie o, nel caso peggiore, si decide di cancellarla.
Mi pare che questa impostazione sia trasbordata in ambito cinematografico e, se finora si lasciava nel finale un aggancio ad un possibile sequel, forse questo è il primo caso di un pilot per una serie per il grande schermo.
Direi che questa è la debolezza principale di Rise of the planet of the apes. Rispetto ad un classico film di fantascienza non succede molto. Ma visto che, secondo mojo, è costato relativamente poco (sotto i 100 milioni) è ha generato incassi per quasi mezzo miliardo, ci si può aspettare che la serie incombente sia lunga e prosperosa.
Si tratta del reboot della serie che ebbe la sua origine in Il pianeta delle scimmie del 1968, con Charlton Heston protagonista. Film che diede molte soddisfazioni alla produzione e che generò una confusa progenie di film e telefilm a cui è difficile dare un senso che non sia prettamente economico.
Un primo tentativo di remake portò allo sconsolante Il pianeta delle scimmie del 2001 che, nonostante la regia di Tim Burton e il cast molto promettente, lo definirei come sostanzialmente dimenticabile. Qui i produttori hanno deciso di lasciare da parte le velleità artistiche, puntare su un regista semisconosciuto (Rupert Wyatt) ma di sostanza, e una coppia di sceneggiatori che paiono pescati quasi a caso. Hanno però curato a dovere gli effetti speciali affidandosi alla Weta di Peter Jackson (Signore degli anelli, King Kong, Avatar, X-men), e hanno fatto una curiosa scelta nel cast, reclutando James Franco (Osborn junion in Spider-Man, anche qui scienziato, anche qui comprimario in una relazione complessa con il protagonista), Andy Serkis (Gollum nel Signore degli anelli, e Kong in King Kong) e Tom Felton (il Draco Malfoy di Harry Potter, qui il suo personaggio è monodimensionale, ma tutto sommato simile). Tre attori che richiamano immediatamente altre tre serie.
Scopo del film, dicevo, è costruire i personaggi che agiranno nelle prossime puntate. Abbiamo dunque lo scienziato (Franco) che, come nei vecchi film di fantascienza, causa la mutazione genetica che genererà una superscimmia intelligentissima (Serkis). La variazione è che non lo fa per pazzia, ma per cercare un rimedio all'Alzaheimer, argomento che gli sta molto a cuore per via del padre malato. Il pazzo, o meglio quello che per soldi venderebbe anche sua nonna, è il capo della ditta farmaceutica (David Oyelowo) che si becca l'etichetta di supercattivo con le relative conseguenze. Lo scienziato ha invece una connotazione più da sciocco, tipo scienziato sbadato, che non fa caso al fatto che la scimmietta che ha salvato dall'istituto è diventato uno scimmione e che non sarebbe più il caso di tenerlo in semicattività in una villetta dei sobborghi di San Francisco. Abbiamo poi la madre adottiva (Freida Pinto) della scimmia, ruolo fondamentale, uno penserebbe, anche grazie al fatto che i primati sembrano essere il suo campo. Che però non spiaccica quasi parola. Forse ci risparmiano per uno sviluppo del personaggio nei capitoli successivi.
Il ruolo principale è quello di Cesare (Serkis), la scimmia che assume consapevolezza di sé, e guida la ribellione dei suoi pari, grazie ai sieri sperimentali dello scienziato. Da notare che la parte centrale del film è in pratica una bizzarra variazione di un tipico film di prigione (mi ha fatto pensare a Le ali della libertà con Tim Robbins) dove i galeotti sono scimmie ma i guardiani sono i soliti sadici aguzzini visti in mille film di quel genere. E questo mi ha fatto venire la curiosità di vedere Prison escape, precedente film di Wyatt. Chissà se lo hanno preso perché capace in film di evasione (nel senso tecnico del termine) o se ha portato la sua conoscenza nel campo a contributo della sceneggiatura.
Gli ottimi effetti speciali sono dunque la chiave del film, ma a mio avviso ne sono anche il secondo punto debole. Potrebbe essere colpa della poca voce in capitolo del regista, o forse della sua inesperienza, fatto è che direi che si sarebbe potuto ottenere di più usandoli meno.
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