Star System - Se non ci sei non esisti

Sinceramente non capisco come mai How to lose friends & alienate people (questo il titolo originale del film, qualcosa come Come perdere amici e alienarsi la simpatia della gente) sia stato una mezza catastrofe al botteghino, e non sia piaciuto molto nemmeno alla critica (vedi Rotten tomatoes), visto che mi pare una tra le commedie più divertenti che abbia mai visto, supportata da una sceneggiatura brillante, una regia piacevole, capace di dirigere a dovere un cast notevole. Ci sono dei punti deboli, ad esempio il lato romantico è puramente funzionale e non regge da solo, ma il bersaglio grosso mi pare pienamente raggiunto.

A ben vedere un'altra debolezza sarebbe che si tratta dell'ennesima storia vera adattata alle esigenze cinematografiche, ma in questo caso mi pare che il lavoro dello sceneggiatore (Peter Straughan) abbia mirato a trasformare una storia folle, il racconto autobiografico del soggiorno americano di Toby Young, in un qualcosa di narrabile in una pellicola da un centinaio di minuti. Normalmente alle storie vere viene aggiunto pepe per renderle più interessanti, qui invece l'impressione che il problema fosse opposto. Da quello che ho visto in rete Young è uno di quegli inglesi molto estroversi, con una vita molto sopra le righe, e ci si può ben immaginare cosa può aver combinato quando era giovane, single, a New York, con un lavoro a diretto contatto con il mondo del cinema.

Il film segue dunque una parte della vita della versione edulcorata di Young (Simon Pegg, perfetto nella parte), iniziando da un breve prologo londinese, quando la sua rivista scandalistica, oltraggiosamente satirica, sta per collassare. Lo vediamo cercare in imbucarsi alla cerimonia dei BAFTA asserendo di accompagnare Babe, il famoso maialino coraggioso, alla premiazione. Sgamato, ripiega sul piano B, il travestimento da cameriere che funziona, ma solo fino a che il maialetto non gli brucia la copertura. LO rivediamo il giorno dopo, in quella che è contemporaneamente la sua abitazione e la sede della rivista, entrambe sull'orlo del tracollo. Riceve una telefonata dal direttore di Sharps (nella vita reale sarebbe Vanity fair) che, contro tutte le aspettative, invece di insultarlo e fargli causa (era stato pesantemente preso in giro nell'ultimo numero della rivista) lo assume.

Si passa dall'altra parte dell'oceano. Young ha trovato un appartamento orribile quanto il suo precedente londinese, forse persino peggio ma, hey, siamo a New York! Esce subito per agganciare qualche strepitosa donna, senza alcun risultato. L'unica persona con cui riesce ad avere qualche scambio di battute è Kirsten Dunst, niente meno, ma lui ha in mente donne di un altro tipo, e finisce per portarsi a casa un travestito. Nota a margine: uno pensa, bah, questa sarà una invenzione dello sceneggiatore, e invece pare di no.

Il giorno dopo, al lavoro, Young scoprirà che il direttore (Jeff Bridges) l'ha assunto ma non sa nemmeno lui bene perché e che la Dunst è una sua collega. Si chiarisce il fatto che lui è completamente un pesce fuor d'acqua. Il suo stile diretto, che mira a far uscire dai gangheri i soggetti di cui parla, è completamente fuori luogo. Il vincente è il suo viscido capo (Danny Huston), e per riuscire a parlare con le star bisogna ingraziarsi il loro ufficio stampa. Lui invece ha una pessima relazione con Gillian Anderson che cura gli interessi di una stellina in crescita (Megan Fox) per cui lui ha una sbandata, e un pretenzioso regista (Max Minghella) considerato il nuovo Tarantino, ma che lui trova insopportabile.

Abbiamo dunque un carattere geniale ma in un ambiente completamente estraneo, che tutto sommato disprezza ma per cui ha una forte attrazione. Inevitabile il contrasto che, sommato ad alcune sfortunate circostanze, genera una quantità di situazioni comiche che mi hanno fatto sbarellare dalle risate. L'aspetto romantico è dato, ovviamente, dalla attrazione di Young per la Fox, che evidentemente lo attizza in quanto trofeo, e anche per la Dunst, che sarebbe la scelta intelligente. Per motivi vari con la Dunst non funziona, e allora lui decide di fare successo sul lavoro (in fin dei conti è semplice, deve solo rinunciare ad essere se stesso e alla sua dignità) e di puntare sulla Fox. Ancor più ovviamente nel finale le cose si aggiusteranno.

Le citazioni cinematografiche si sprecano, e funzionano molto bene dato che siamo in un film che parla del mondo del cinema. Il riferimento a Il diavolo veste Prada, invece, mi pare marginale. Vero che si tratta di storie simili, ma lo sviluppo è completamente diverso. Tanto per dirne una, se in Prada è la protagonista che nel finale ammette di ammirare la (carogna) direttrice della rivista, qui vediamo come sia il direttore (che non è poi una carogna, ma si è solo piegato ad un sistema che pure non approva) a mostrare di apprezzare il suo sottoposto per essere capace di uscire dalla gabbia dorata in cui si è andato a ficcare. Chissà, forse è questo che non è piaciuto a molti critici, che magari preferiscono i vantaggi che dà loro restarsene in gabbia.

Un errore da non fare è quello di pensare che Young sia un imbecille. Vero che dice che il miglior film mai fatto sia Con Air, che cita Troy come fonte di saggezze, e che riconosce una attrice per essere apparsa in Love boat, ma cita con la stessa nonchalance La vita è meravigliosa, e quando la Dunst dice che il suo film preferito è La dolce vita, lui non cade dal pero, anzi riesce pure a procurarsi la colonna sonora (in vinile!) per fargliene omaggio.

Il film abbonda anche di citazioni indirette. E in effetti, avendo Bridges ("the dude", o "il drugo" in italiano) nel cast, era difficile farsi scappare qualche ghiotto accenno a Il grande Lebowski. Oppure, la struttura narrativa, una lunga parentesi che si apre con l'applauso per la premiazione di una attrice, lascia partire un lunghissimo flashback narrato da un critico cinematografico che arriva fino quasi alla fine del film, mi pare una esplicita citazione di Eva contro Eva, che sarebbe utile avere presente per dare una chiave interpretativa (!) al film che non sia troppo banale.

3 commenti:

  1. Credevo di essere pazzo ad apprezzare una commedia del genere, e la scoperta della piacevole compagnia si aggiunge alla solita grande analisi. Hai detto tutto, ma io mi sarei soffermato su Kirsten e sulla scena della Festa del 4 luglio, senza nemmeno citare Simon Pegg, che a questo punto aspetto in Paul e in qualcosa di simile e straordinario.

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    1. L'altra possibilità è che siamo entrambi pazzi :D

      Hai ragione, ho dimenticato di citare la festa che è un punto importante del film per molte ragioni. Ne cito solo una, per non scrivere un commento chilometrico ad un lungo post, si vede come il protagonista, apparentemente un imbecille, faccia la scelta intelligente, e rinunci a far la festa alla Fox per aiutare la Dunst sbronza a tornare a casa.

      Percorso opposto nel mio caso per Pegg, mi era praticamente ignoto finché non ho visto Paul.

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  2. Voglio vedere Paul, non leggerne!!! A questo punto scatta la rivalutazione per acclamazione.

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