Gunga Din

La prova attoriale dei trio di protagonisti (Cary Grant, Douglas Fairbanks Jr., Victor McLaglen) è tale da giustificare anche oggi la visione di questo film, nonostante la sceneggiatura sia davvero un pasticciaccio brutto. La regia è di George Stevens e, pur non essendo tra le sue cose migliori (*), mostra come fosse capace di gestire sia star sia masse di figuranti.

In teoria la storia dovrebbe essere basata sul poema omonimo ed eponimo di Rudyard Kipling, ma in realtà narra una storia completamente diversa, se non che entrambi i Gunga Din sono portatori d'acqua indigeni dell'esercito britannico in India, ed entrambi muoiono nel finale. Il racconto è estremamente irrispettoso nei confronti degli indiani (dell'India) e sembra una versione alternativa di uno scontro tra esercito americano e indiani (di America), che ricorda vagamente la battaglia del Little Bighorn ma con finale favorevole ai bianchi.

Tre sergenti sono molto amici. Cutter (Grant) ha la fissazione di trovare un tesoro, rubarlo, e usarlo per aprire un bar in patria. Al momento non ha trovato niente, ma ha causato un sacco di guai a tutti e tre. Cosa di cui gli altri due non si lamentano, perché si divertono un mucchio a ficcarsi in situazioni balorde. Ballantine (Fairbanks) vorrebbe sposarsi con Emmy (Joan Fontaine), che vorrebbe che lui lasciasse il servizio militare e avesse un lavoro meno rischioso. Lui è combattuto tra l'amore per lei e il maschio cameratismo con i suoi compagni di avventure. MacChesney (McLaglen) è il più militaresco tra i tre, anche se non disdegna di piegare il regolamento alle necessità del momento.

Un gruppo di indiani, capitanati da un guru (Eduardo Ciannelli), tenta di far rivivere il mito dei Thug, e dà filo da torcere agli invasori. I tre sergenti e Gunga Din (Sam Jaffe) vengono catturati e usati come esca per attirare un battaglione avversario in una trappola. Ma Gunga Din sacrifica la sua vita per avvertire il suo generale, e come premio ottiene l'inclusione postuma nell'esercito col grado di caporale.

Il successo di questo film è stato tale, in particolare negli USA ma un po' in tutto il mondo, che riemerge come citazione in altri film. Vedasi in particolare Holliwood party. Il film a cui lavora Hrundi V. Bakshi (Peter Sellers) lo ricorda molto, al punto che il suo personaggio ha una scena molto simile a quella che nell'originale era altamente drammatica ed eroica, però virata al comico.

(*) Il periodo migliore di Stevens credo siano stati gli anni cinquanta, quando ha diretto cose come Il gigante.

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