Primo lungometraggio di Edgar Reitz, che diventerà famoso solo una ventina di anni dopo con lo strabordante Heimat. La mano non è quella di un debuttante, e infatti su IMDB sono riportati una quindicina di corti (*) prodotti in un decennio, e il risultato è stato premiato a Venezia come miglior opera prima.
Il titolo originale è piuttosto criptico, e non ha nulla a che fare con quello scelto dai distributori italiani. Letteralmente si potrebbe tradurre I tempi in cui si mangia, che però non ha senso. Mahlzeit è il saluto che i tedeschi si scambiano all'ora di pranzo, invece di dire ciao. Forse si può pensare che Reitz intendesse dire che il film vuole raccontare la quotidianità dei suoi personaggi. Insomma, ci si aspetti un peso specifico di tutto rispetto. Sottolineato anche dal fatto che la pellicola è in bianco e nero.
Elisabeth (Heidi Stroh) è un tipo sull'artistico, Rolf (Georg Hauke) ha deciso sin da piccino che avrebbe fatto il medico. Si incontrano che sono universitari, si piacciono, si sposano, si mettono a produrre una serie di bimbi. Lui abbandona gli studi, poi entra in crisi e abbandona la famiglia, torna, ma a questo punto è lei che abbandona la famiglia, torna, lui cerca un lavoro, entra nuovamente in crisi, cambia lavoro, ha un certo successo. I due però hanno qualcosa che rode loro dentro. Lei trova consolazione nella religione, e convince anche il marito, così che i due diventano mormoni. Lui però continua a non sentirsi a posto, e chiude la partita. Lei ci resta male, ma in breve trova un mormone americano che la sposa, si accolla l'intera numerosa famiglia, e tutti quanti se ne vanno in America.
Lo stile narrativo è un curioso incrocio tra la freddezza simil-documentaristica tipica di alcuni autori mitteleuropei (**) e lo spontaneismo della nouvelle vauge alla Jean-Luc Godard.
(*) Un paio di titoli forse sono relativi a pellicole storie più estese, Varia Vision e Unendliche Fahrt - aber begrenzt (Viaggio senza fine - ma confinato), di cui però non ho trovato nessuna informazione, nemmeno la durata.
(**) La crudezza di certe scene mi ha fatto pensare a Michael Haneke, vedasi ad esempio Il settimo continente.
Nessun commento:
Posta un commento