Birdman o (L'imprevedibile virtù dell'ignoranza)

Riggan (Michael Keaton), dopo aver raggiunto la fama nell'interpretare Birdman (*), è caduto nell'anonimato. Vent'anni dopo ha una idea geniale (?), affitta un teatro a Brodway (**), rielabora Di cosa parliamo quando parliamo d'amore (***), ne cura produzione (°), regia, e si prende pure la parte principale.

Nel fare ciò rischia il disastro economico, artistico, relazionale e mentale. Secondo la narrazione di Inarritu (°°), che segue (prevalentemente?) la soggettiva di Riggan, il protagonista riesce a salvare la baracca sotto tutti gli aspetti. Ma visto che il finale è palesemente frutto di una sua allucinazione, ci dovrebbe perlomeno sorgere il dubbio che sia avvenuta invece una completa catastrofe.

D'altronde, chi conosca quell'allegrone di Inarritu, sa bene della sua tendenza alla tragedia. Genere in cui i messicani sono maestri, tra l'altro. L'impressione che ho avuto è che il regista abbia voluto nascondere il dramma dietro una patina leggera. Probabilmente per far felici i suoi produttori e magari anche per garantirsi la possibilità di fare altri film con un budget significativo.

Per cui immagino che abbia accolto la candidatura e i successivi premi ai Golden Globe nella categoria "comedy or musical" con lo spirito di chi abbia fatto uno scherzo andato a buon fine. Anche se, per dirla tutta, è troppo facile prendere in giro quelli del Golden Globe in materia di cinema.

Qualcosa di molto comico nel film c'è. Ad esempio il fatto che tra il pubblico c'era gente che si aspettava un film di un supereroe fumettoso, e si è trovato a doversi sorbire due ore di delirio del passato interprete finzionale di un tale carattere. Per costoro c'è il contentino di una breve sequenza in cui Birdman prende il sopravvento su Riggan e distrugge un po' di New York in una lotta con un mostro apparentemente extraterrestre che avrebbe fatto felice Michael Bay.

Molti i riferimenti al cinema e al mondo che gli gira attorno, alcuni centrati, altri che sembrano messi apposta per confondere le acque. Il riferimento ad Altman mi pare stia nel secondo gruppo. E se proprio lo si vuole citare, penserei più a Il dottor T & le donne che ad altri titoli, facendo leva sul pessimismo nei confronti dei caratteri maschili che, pur sembrando al centro dell'azione, girano a vuoto. Il film di Altman lascia un barlume di speranza, qui non ce n'è. Gli uomini sono di una vacuità impressionante, sono le donne a reggere il gioco nella vita reale.

Sappiamo che Riggan è fuso già dalla prima scena, in cui lo vediamo meditare in levitazione, e nel resto del film la sua tendenza al delirio non fa che aumentare. Il secondo ruolo maschile, sia nel film sia nella piece teatrale, va a Mike (Edward Norton) che ammette senza problemi di sentirsi vero solo sul palcoscenico.

Sam (Emma Stone), figlia di Riggan, che teoricamente sarebbe il personaggio più debole della storia, avendo una dipendenza da droghe e lavorando come assistente del padre, mostra di saper tenere il gioco in mano. Come hobby si siede sul balcone, senza avere nessuna intenzione di buttarsi, per avere una scossa adrenalinica. Se decide di fare sesso con qualcuno, lo fa, anche se lui non ne aveva nessuna voglia e intenzione.

Anche gli scambi tra Riggan e la ex moglie (Amy Ryan) mostrano quanto il primo veda solo i lustrini ma gli sfugga la realtà.

C'è pure una scena lesbo tra Lesley (Naomi Watts), sul punto di rompere con Mike in quanto stremata dalla sua inconsistenza fuori dal palco e per il suo iperrealismo nella finzione, e Laura (Andrea Riseborough), anche lei sul punto di rompere con Riggan fondamentalmente per gli stessi motivi, che mostra quanto poco siano essenziali i loro ex anche quando si parla di sesso.

Non credo sia un caso che anche il critico teatrale da cui tutti si aspettano il verdetto definitivo sulla piece, Tabitha Dickinson (Lindsay Duncan), sia una donna, che abbia ben chiaro il senso dell'operazione, e che ne sia disgustata.

Tecnicamente ho trovato il film troppo forzato. E' vero che i lunghi piani sequenza che sembrano non aver mai fine sono funzionali a mostrarci lo stato mentale di Riggan, che si sente evidentemente ingabbiato in una struttura da cui non riesce ad uscire, rappresentata anche dal teatro e dai suoi meandri. Però forse non era necessario spingersi così in avanti, con il rischio di scatenare nello spettatore il gusto per la caccia al cambio di sequenza. Stesso discorso per la colonna sonora, che consiste in larga parte di improvvisazioni per batteria jazz opportunamente discordante, e che ci dovrebbe avvicinare al tumulto interiore di Riggan. Che però potrebbe causare un sovraccarico sensoriale con associata perdita di significati più interessanti. Ma magari era proprio quello che voleva Inarritu.

Simpatica l'idea di creare ulteriore confusione nello spettatore chiamando nel cast attori con un legame reale o interpretativo nella vicenda. Vedi la connessione a Fight club via Edward Norton, per la faccenda della lotta interiore del protagonista, e per un parallelo sul modo in cui risolverla, o quella con Paper man via Emma Stone per il rapporto che il protagonista ha con il supereroico amico invisibile.

(*) un supereroe variopinto ma tenebroso alla Batman.
(**) e mica off-off, praticamente in Times Square.
(***) il racconto che dà il titolo alla raccolta di Raymond Carver da cui ha attinto Robert Altman per il suo Short cuts, da noi noto come America oggi.
(°) tramite Jake (Zach Galifianakis) che sembra essere il suo unico amico, per quanto sembri interessato ai soli aspetti economici e legali di quello che accade.
(°°) Alejandro González Iñárritu, per essere precisi.

6 commenti:

  1. concordo: non è un bel film
    salvo la recitazione di Keaton (oscar?), ma sono rimasto deluso dall'insieme
    e come si fa a definirlo COMMEDIA con un finale così?

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    1. Direi che la si può vedere come commedia se ci si ferma all'apparenza, non facendosi troppe domande, e assumendo che Riggan sia effettivamente dotato di superpoteri.
      A priori avevo messo Keaton nel terzetto dei miei favoriti all'Oscar, mi manca ancora La teoria del tutto per verificare, comunque io non lo voterei più. Bravo, ma c'è di meglio. Però i miei altri due candidati sono inglesi, e questo peserà a suo vantaggio.

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  2. Io andrò a vederlo lunedì.
    Spero che non deluda le mie aspettative.

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    1. Se ti aspetti un film di Inarritu e non di Michael Bay sei già sulla strada giusta ;-)

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    2. Dai sapevo quello che andavo incontro :)
      E' una bomba: non vedevo un film così coinvolgente da secoli!
      E' filosofia di questi tempi.

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    3. Se a colpirti è stata la storia di un tale che viene fagocitato da una storia che vuole raccontare, potrebbe interessarti anche Synecdoche, New York di Charlie Kaufman con Philip Seymour Hoffman. Che però è decisamente meno lieve.

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