Automata

Jacq Vaucan (Antonio Banderas) è in una crisi di mezza età così potente che, nonostante faccia un lavoro ad elevato tasso di noiosità (perito assicurativo), riesce a trovare il modo di ficcarsi in un gigantesco guaio piuttosto di affrontare la sua prima paternità.

Forse Gabe Ibáñez (co-sceneggiatura e regia) non voleva che fosse troppo chiaro il tema che voleva trattare, e ha camuffato il film in modo che sembri un thriller fantascientifico centrato sull'evoluzione di una futuribile intelligenza artificiale che finisce per superare quella del suo creatore. Ovvero la teoria della singolarità che tanto va di moda in questi tempi. Vedasi ad esempio Transcendence.

Tra qualche decennio la quasi totalità della popolazione mondiale viene sterminata, un po' come in Interstellar, ma qui il principale colpevole è il nostro sole che decide di abbrustolirci più del solito. E' diversa anche la soluzione scelta, si punta tutto su un modello di automa, un po' come quelli di Io robot, che dovrebbe permettere la riconquista del deserto che ora copre quasi completamente l'intero pianeta.

L'azione parte quando ormai s'è persa ogni speranza. Il deserto è più forte, ci si accontenta di sopravvivere nelle città. A dire il vero noi di città ne vediamo una sola, e non ha nome, anche se sembra americana, e ricorda molto la metropoli di Blade runner, anche a causa delle continue piogge, che qui sono provocate artificialmente. Ma si accenna all'esistenza di almeno un'altra città superstite, che sarebbe sulla costa dell'oceano, e verso la quale vorrebbe fuggire Jacq, per inseguire quello che sembra un ricordo di infanzia, non si sa quanto reale.

A fare le spese della crisi del protagonista è sua moglie (Birgitte Hjort Sørensen), che dovrà arrangiarsi da sola al momento del parto, e soprattutto il suo capo (Robert Forster), felicissimo del suo insulso lavoro e che si trova invece catapultato nel deserto senza capire neanche bene perché.

Già, perché la presa di coscienza dei robot ha uno spiacevole contraccolpo assicurativo, visto che qualcuno deve pur pagare se questi non funzionano come atteso. Il che sarebbe una idea per una deriva satirica alla Brazil di Gilliam, che però viene accuratamente evitata, mantenendo una seriosità che mi è parsa eccessiva. Invece Jacq, convinto che qualcuno manipoli i suoi robot, segue una pista nei bassifondi della città che lo porteranno ad avere a che fare con una robottina di facili costumi, seguire una pista che porta ad una esperta fai da te di intelligenza artificiale (Melanie Griffith, poco più di un cameo), e infine ad un regolamento di conti in stile quasi western.

La sceneggiatura m'è parsa troppo confusa, tanti riferimenti che però non portano da nessuna parte, e pochi sviluppi che siano realmente memorabili. Il risultato visuale non è male, in particolare se penso al budget che deve essere stato ridicolmente basso, se paragonato a titoli simili.

4 commenti:

  1. hai citato tanti film e infatti questo è un film iper-derivativo.
    e, per quanto mi riguarda, pure iper-noioso. :)

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    1. E ci sono sicuramente ancora molte altre citazioni, ad esempio lo sguardo del robottino ultimo arrivato ricorda molto quello di Numero 5, da Corto Circuito di Badham. Però ad un certo punto è sembrato anche a me che stessi esagerando con le citazioni. A me, nonostante tutto, non ha annoiato. Però l'apparato fantascientifico m'è sembrato più uno schermo al tema reale che interessava a Ibáñez che un mezzo per esprimere qualcosa di proprio. E nemmeno il tema della crisi di mezza età m'è sembrato ben sviluppato, per dirla tutta.

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  2. Nonostante non mi ispiri molto, andrò a vederlo con gli amici. Spero in un miracolo eheh

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    1. Credo che il trucco sia non aspettarsi troppo. E poi si può fare a gara a chi ha colto più riferimenti ;-)

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