Le quattro volte

In pratica non succede niente. Però Michelangelo Frammartino (regia e sceneggiatura) racconta questo niente con una buona mano, e il film potrebbe piacere a chi è alla ricerca di qualcosa di molto quieto, che lasci spazio alle emozioni.

Seguiamo gli ultimi giorni di vita di un pastore in un paesino calabrese (che in pratica si suicida, prendendo come "medicina" polvere raccolta in chiesa e disciolta nell'acqua - curiosamente finisce per morire proprio quando una casualità gli impedisce di prendere la sua razione di placebo). Quindi l'azione segue un capretto dalla sua nascita alla sua prematura fine sotto un'albero. Tocca ora all'albero, che viene abbattuto, usato come albero della cuccagna, abbattuto di nuovo, fatto a pezzi e trasformato in carbonella. In un'ora e mezza di film poche parole (qualche preghiera, chiacchiericcio sullo sfondo, e poco altro) e pochi movimenti di camera.

In teoria questo racconto minimalista vorrebbe essere una sorta di parabola filosofica, sulla circolarità dell'esistenza (la produzione di carbonella inizia e finisce il film), con un accenno a teorie sulla reincarnazione passando per quattro diversi stadi: umano, animale, vegetale, minerale (il pastore che diventa capra che diventa albero che diventa carbone che diventa polvere che viene assunta dal pastore come "medicina"). Il problema è che vedendolo in questo modo, a mio modesto avviso, diventa del tutto insopportabile.

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