Love and other drugs - dunque Amore e altri farmaci sarebbe forse stato un titolo migliore, anche se si sarebbe comunque persa l'ambiguità originaria.
Edward Zwick (regia, sceneggiatura, produzione) affronta, dopo il traffico clandestino di diamanti visto in Blood diamond, un nuovo un tema spinoso: la sanità americana. Anche il modo di trattare il tema principale (se tale davvero è) rimane lo stesso, lo si mescola a numerosi altri, mirando forse a conquistare pubblici diversi.
In entrambi i casi il risultato non mi è sembrato eccezionale. Si ride un po', ci si commuove un po', ci si indigna un po'. Una sfoltita alla sceneggiatura e più decisione nella scelta del bersaglio avrebbe fatto bene al film.
Protagonista un giovinastro (Jake Gyllenhaal che mi pare abbia preso a modello Jim Carrey per questa interpretazione) che, a fine anni novanta, sembra aver deciso di rovinare la propria vita, ma almeno lo fa divertendosi. Piuttosto casualmente finisce per fare l'informatore farmaceutico per conto del Pfizer - fatto che ci dà modo di vedere una presentazione (che temo sia abbastanza realistica) per venditori, con tanto di coreografia basata sulla macarena (nota sulla colonna sonora, è del tipo collezione di canzoni d'epoca, modello nostalgia). Si procede dunque sullo stile della commedia adolescenziale, con tanto di fratello minore del protagonista, informatico d'ordinanza, nerd, grassoccio, incapace di relazionarsi, arricchitosi enormemente e incapace di usare i soldi accumulati (Josh Gad, efficace nella parte).
Il tutto finché non entra in scena lei (una splendida Anne Hathaway) che rifiuta il protagonista (anche lei ha una serie di problemi emotivi, e un grosso problema fisico - un precoce morbo di Parkinson in rapido peggioramento) e finisce per attirare in questo modo la sua attenzione. Si devia dunque sui binari del dramma sentimentale, anche se la sottotrama leggera non viene abbandonata.
Nuova linfa alla sezione su Big Pharma è fornita anche da un convegno a Chicago - e da una parallela un-convention dove seguiamo malati di Parkinson e familiari scherzare (con le lacrime agli occhi) sulla loro terribile malattia.
Tanta roba. E si finisce per trattare con superficialità parti che avrebbero potuto essere affrontate con maggior attenzione.
Pienamente d'accordo con te, il film è di una banalità assurda, la solita commedia americana... avrebbero potuto sviluppare maggiormente il tema della malattia, invece fa semplicemente da sfondo alla storia.
RispondiEliminaUn peccato, secondo me. Come regista Zwick mi pare capace, è che quando scrive la sceneggiatura sembra che cerchi di ingarbugliare inutilmente la matassa. Poteva puntare sul melodramma, sul film di denuncia, sulla commedia ... e invece ha finito per lasciare solo un gran senso di insoddisfazione.
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