Visto dopo aver letto quanto ne dice Moderatamente ottimista nel suo blog.
Da notare la potenza della lingua inglese che permette di riassumere in una sola parola il concetto di persona che tenta il suicidio tagliandosi le vene dei polsi.
In realtà la storia raccontata è relativa al superamento della fine di un amore, quello del protagonista (Zia, interpretato da Patrick Fugit, il ragazzino protagonista di Quasi famosi), che lascia spazio ad una nuova storia. Le due storie d'amore vengono appena accennate, e il fuoco della vicenda è tutto sul periodo intermedio. La vicenda si apre mostrandoci Zia che entra d'ufficio nella categoria dei wristcutter, e come tale guadagna l'accesso ad un mondo parallelo molto simile al nostro, ma in peggio. Un eterna periferia degradata dove nessuno riesce a sorridere.
Primo lungometraggio scritto (sceneggiatura basata su un racconto di Etgar Keret) e diretto dal croato Goran Dukic, è non banale, divertente e interessante, anche se discontinuo.
Disseminato di elementi secondari comunque degni di attenzione. Ad esempio: cosa può trattenere una persona che capiti in un simile incubo da suicidarsi per una seconda volta? Il terrore di finire in un mondo ancor peggiore. E chi può essere così scemo da da non farsi intimorire da una simile atroce prospettiva? Solo un santone, fondatore di una insulsa religione che già si era suicidato una prima volta credendo in questo modo di connettersi alla sua divinità.
La storia mi ha ricordato quella di Interstate 60, quello fa valere una produzione più ricca, un cast di maggior peso e direi anche una sceneggiatura e regia più solida, questo ha dalla sua Tom Waits in un ruolo minore (e che direi che avrebbe potuto essere sviluppato meglio) e una colonna sonora più interessante.
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