Dopo Nikita, di cui è stato fatto un remake ad hoc per poter essere distribuito negli USA, e dopo Léon, girato in inglese a New York e che ha dimostrato ai produttori che era possibile per un regista francese fare un film che vende biglietti oltreoceano, Luc Besson è riuscito a convincere la Gaumont a sborsare una cifra stratosferica (per il cinema europeo) per un lavoro in cui la fantascienza va a braccetto con una buona dose di autoironia.
Scommessa vinta, anche se più a livello planetario che americano. E mi vien difficile pensare che qualche altro regista europeo possa far meglio di Besson.
Da notare che, per andar meglio incontro al gusto americano, Besson si è fatto aiutare nella stesura della sceneggiatura da Robert Kamen, con cui, a quanto pare, si è instaurata una sorta di collaborazione permanente (The Transporter, Io vi troverò).
Due ore di pellicola che scorrono via bene con una vicenda ambientata fra un paio di secoli, con una impellente fine dell'universo che può essere impedita solo da uno squinternato gruppetto composto da un ex-militare, ora tassista depresso (Bruce Willis), un prete di una strana e antica religione (Ian Holm che diventerà Bilbo nel Signore degli anelli) e il suo assistente, un assurdo conduttore radiofonico (Chris Tucker) e il quinto elemento in persona, un superguerriero ingegnerizzato da alieni per sconfiggere il supercattivo, che non è interpretato da altri che Milla Jovovich.
Il supercattivo invece è di difficile rappresentazione, in quanto si tratta di una sorta di planetoide senziente, che però ha come degno rappresentante in Terra un cattivissimo magnate interpretato con gusto da Gary Oldman.
Il punto debole è sicuramente rappresentato dagli effetti speciali, fortunatamente tenuti a galla da un look futuribile di impronta tipicamente francese dovuto a nomi del calibro di Jean-Paul Gaultier e Moebius (noto all'anagrafe come Jean Giraud).
Rivisto un'altra volta, e sinceramente dovevo fidarmi dell'assenza di nostalgia per il film di Besson.
RispondiElimina:D
RispondiEliminaio invece trovo divertente lo suo strano connubio franco-americano del suo cinema.
Certo, i "francesismi" funzionano, specie nella moda, ma preferisco dimenticarlo.
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