La legge dell'ospitalità - Accidenti, che ospitalità!

Anche questo film di Buster Keaton è noto da noi con due nomi, a fronte dell'originale che in questo caso è Our hospitality. Stesso anno di The three ages, mostra una decisa evoluzione rispetto alla comica in due rulli. Qui la sceneggiatura è più corposa, i personaggi non sono semplici macchiette intercambiabili, ma seguono uno sviluppo ben preciso. Il risultato comico, però, paga pegno di questa impostazione più solida ma non ancora ben definita. Insomma, ho riso meno.

Si racconta di una faida ottocentesca in una piccola cittadina tra i monti, a poca distanza da New York. Da tempo immemorabile i Canfield e i McKay si ammazzano a vicenda. Per salvare l'ultimo erede dei McKay, Willie, la madre si trasferisce in città (anche se il termine è eccessivo, nella pellicola si ride del vertiginoso sviluppo newyorkese mostrando come un secolo prima anche la Broadway non fosse altro che una fangosa pista nella campagna) col pargolo. Passano un paio di decenni, e Willie è diventato un giovanotto (Keaton) a cui un avvocato scrive per comunicargli che è diventato erede della tenuta dei McKay.

Willie dunque parte, su di un ridicolo treno che viaggia così lentamente che il cane di Willie arriva a destinazione prima del padrone. Il viaggio si velocizza solo quando la locomotiva (chiamata Rocket) si stacca, e dunque le carrozze possono finalmente procedere più liberamente verso la loro meta. Il lato positivo del viaggio è che Willie incontra una leggiadra fanciulla (Natalie Talmadge al suo ultimo ruolo, aveva sposato Keaton da un paio d'anni) e i due si piacciono quasi immediatamente. Solo più avanti avremo la conferma della coincidenza che sembra quasi naturale, ovvero che si tratta di una Canfield.

Un po' come in Romeo e Giulietta, babbo Canfield e i due fratelli di Lei non saranno per niente contenti, e Willie dovrà faticare e rischiare parecchio prima di riuscire a sposare la sua bella.

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