A cavallo della tigre

Giacinto Rossi (Nino Manfredi) è un povero disgraziato che riesce a malapena a far arrivare a fine mese la piccola famiglia. Concepisce così una demente auto-rapina che dovrebbe portargli una sommetta extra ma che invece, causa anche un pescatore di vongole avariate a nome Garibaldo, lo porta dritto in galera, sia pure per breve tempo. Mentre sconta senza troppi patemi la pena in una galeraccia infame, finisce controvoglia per diventare elemento fondamentale del piano di evasione di una banda di disperati. Mario Tagliabue (Mario Adorf) è un ergastolano che ha ucciso a biciclettate un complice che voleva scappare senza dividere il malloppo; Sorcio (Raymond Bussières) è un poco di buono dalla mano lesta invecchiato nel mestiere; Papaleo (Gian Maria Volonté) ha ucciso il rivale in amore e ora smania per tornare in libertà così da poter uccidere anche la donna che lo ha disonorato.

Il piano funziona, ma un equivoco derivante dal consumo inatteso di alcuni fichi secchi complica la fuga, e dopo una serie di bizzarre avventure, solo Tagliabue e il Rossi riescono ad arrivare a Civitavecchia, dove sperano, con l'aiuto di Garibaldo, di imbarcarsi per l'Egitto. Sappiamo sin dall'inizio che le cose andranno a finire altrimenti.

Regia di Luigi Comencini, che scrive anche la sceneggiatura assieme ad Age, Scarpelli e Mario Monicelli. Commedia all'italiana anomala, molto più amara e cinica della produzione del periodo, riscosse poco successo ai tempi ma ha guadagnato credito col passare degli anni, e credo che oggi possa essere considerata una tra le cose migliori del filone.

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