Mi chiedo cosa ha pensato Preston Sturges quando ha scoperto il titolo che la distribuzione italiana ha dato a questo suo film. Lui aveva scelto Sullivan's travels, una evidente citazione dei Gulliver's travels. Anche se c'è ben poco di Jonathan Swift in questa storia, se non il taglio satirico con cui è affrontata la faccenda. E questo viene completamente perso in italiano, indicando invece una pista completamente sbagliata.
Si narra infatti di John L. Sullivan (Joel McCrea), un regista commerciale di buon successo grazie a commedie di facile presa popolare. Il buon Sullivan però è scontento, vuole diventare un Autore, come Ernst Lubitsch o, meglio ancora, Frank Capra (*). Per far questo, ha deciso di adattare il romanzo Fratello, dove sei? (**) per farne un film di impegno civile che scuota le coscienze dei cittadini sulla condizione dei numerosi poveri, vagabondi, senza un soldo, che sopravvivevano malamente al tempo. Il problema, gli fanno notare i capi dello studio, per tentare di dissuaderlo, è che lui non ha nessuna esperienza della materia, in quanto nato ricco, e arricchitosi ancor di più con il suo cinema di cassetta.
Sullivan ci pensa un secondo, decide che hanno ragione, e che si travestirà da povero per vedere come davvero vivono. Il tentativo di una mediazione, con Sullivan che fa il povero mentre un pullman di supporto lo segue a breve distanza, fallisce rapidamente, e Sullivan riesce ad assaporare la vita del poveraccio, il che lo porta rapidamente sul rischio della catastrofe. Per sua fortuna un paio di incontri fortunati gli evitano guai peggiori, tra cui una gentil donzella di cui non ci è dato sapere il nome (Veronica Lake) che, disillusa da Hollywood, vorrebbe far ritorno a casa. Caso vuole che lui finisca per dover rivelare a lei la sua vera identità e il suo progetto e lei, che preferisce rinunciare ad una bella lettera di raccomandazione per Lubitsch in cambio della possibilità di seguire Sullivan nel suo pellegrinaggio.
Nemmeno la partenza in coppia ha successo, e qui Sullivan è sul punto di perdersi d'animo. Sembra infatti che il caso si opponga ad ogni suo tentativo e lo faccia sempre ritornare al punto di partenza. Ma i due perseverano, e finalmente incontrano la povertà vera, una povertà da far rizzare i capelli, miseria al limite della sopravvivenza, docce comuni, lunghe code per una ciotola di qualcosa appena commestibile. Questa parte è narrata come se fosse un film muto, il che aumenta l'effetto citazionista rispetto alle comiche di Charlie Chaplin. Quando giungono al punto di cercare cibo nei bidoni dell'immondizia, i due decidono che hanno fatto abbastanza, e tornano allo studio.
C'è però un colpo di coda della vita disperata. Sullivan, infatti, viene derubato e colpito duramente alla testa mentre era in abiti da vagabondo, al suo risveglio reagisce rudemente ad un ferroviere e, ancora in stato confusionale, viene portato rapidamente in giudizio e condannato per direttissima a sei anni di lavori forzati. In pratica venduto come schiavo ad un possidente che fa lavorare lui e altri galeotti in un ambiente che ricorda molto 12 anni schiavo. La situazione sembra grama, ma era proprio quello di cui Sullivan aveva bisogno. Una domenica viene portato con i suoi compagni di sventura in chiesa (***) per vedere un film, che risulta essere una comica di Walt Disney con il povero Pluto a cui ne capitano di tutti i colori. E lì capisce finalmente quanto sia importante un film che riesce a strappare una risata anche all'ultimo dei derelitti.
Segue lieto fine d'ordinanza. Grazie ad un'idea geniale Sullivan riesce a far riconsiderare il suo caso e, lussi dei ricchi, esce di galera in un batter d'occhio. Però ha imparato la lezione. Ha capito di non saperne abbastanza per parlare degli ultimi. O forse finalmente ne sa, e proprio per questo vuole tornare a fare commedie.
Sessant'anni dopo i fratelli Coen si sono chiesti che film avrebbe fatto Sullivan dopo i fatti qui narrati. Chissà, magari gli riescono a far cambiare idea e utilizzare qualcosa del materiale che ha raccolto di prima mano con la sua esperienza.
E così nasce, per l'appunto, il loro Fratello, dove sei.
(*) Che Lubitsch sia inferiore a Capra è una opinione di Sullivan, non mia, e nemmeno di Sturges. Per me hanno fatto cose molto diverse, tali da non renderli paragonabili, ma sono entrambi tra i Grandi. Ho il sospetto che Sturges preferisse Lubitsch.
(**) In originale, "O Brother, Where Art Thou?", nel finale vediamo la copertina del libro, l'autore è inesistente, ma il suo cognome ricorda Steinbeck.
(***) Una chiesa per neri. Da notare che siamo nel Sud e ancora in pieno segregazionismo. Puoi essere bianco quanto vuoi, ma la galera ti porta al livello più basso della società.
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