Cesare deve morire

Ho letto da qualche parte che si tratterebbe di un documentario, ma non lo è. Perlomeno non nel senso classico del termine. È vero che documenta una realtà esistente, ma lo svolgimento segue la sceneggiatura di Paolo e Vittorio Taviani (anche registi, come di consueto) e non credo che molto sia lasciato all'improvvisazione degli attori, perché tali sono, anche se si tratta nella quasi totalità di non professionisti, seguendo del resto i dettami del neorealismo.

C'è anche da sapere che il cuore del film non è tanto nella rappresentazione del Giulio Cesare di Shakespeare da parte dei reclusi di Rebibbia, quanto l'impatto che l'accostamento all'attorialità ha sui protagonisti. Avessi saputo questo dettaglio in anticipo, mi sarei risparmiato lo spavento che mi è venuto a vedere i primi minuti, quando assistiamo a parte della recita.

Terzo punto, che potrebbe risultare ostico a qualcuno, la recita avviene in dialetto, o sarebbe meglio dire in dialetti, checché ne dica la grammatica italiana, visto che ogni attore usa il proprio, ottenendo un effetto babelico, ma a cui mi sono adattato rapidamente.

E infine, è gran parte in bianco e nero. Solo nelle due schegge che "documentano" la prima, e in un momento nel centro dell'azione, si fa uso del colore.

Mi ha colpito notare come mi sia annoiato durante la prima scheggia, e che il mio sentimento dominante fosse il timore che si continuasse su quei binari per tutta la durata del film, mentre nel finale, dopo che avevo avuto modo di conoscere i personaggi, visto cosa rappresentava per loro quella recita, sono riuscito ad apprezzare la recitazione, per quanto imperfetta.

Il Giulio Cesare è visto prevalentemente seguendo Bruto (Salvatore Striano, che ha effettivamente nel suo passato una permanenza a Rebibbia, dove ha imparato a recitare) e dunque anche il famoso monologo di Antonio ("Bruto è uomo di onore") non è che risulti qui particolarmente coinvolgente. Giustamente, dal punto di vista della sceneggiatura, perché non è quella una parte della tragedia che possa facilmente legarsi a quelle che sono le esperienze dei detenuti-attori.

2 commenti:

  1. ma alla fine, lo consiglieresti o no?

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    1. Ah, non si capisce? Mi sa tanto che finirò per scrivere cose che non capisco neanch'io.

      Sì, lo consiglierei, anche se non a tutti. Racconta quanto l'attività teatrale in carcere contribuisca a rendere meno disumano quell'ambiente, dando un senso all'esistenza di chi vi è recluso, che può usare quell'esperienza per cercare di diventare una persona migliore.

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